Quei pordenonesi romantici e patriottici sedotti dal fascino dell’eroe dei due mondi

Walter Tomada
Nacquero entrambi nel Friuli occidentale, due dei protagonisti più ferventi e meno conosciuti del Risorgimento: il più vecchio, l’ideologo, 200 anni fa, il 14 marzo 1820 a Polcenigo; l’altro, il più giovane, 180 anni fa, il 9 marzo 1840 a Pordenone. Uomini di due generazioni diverse, uniti da un destino di lotta per un sogno chiamato Italia e soprattutto da un amico comune: Giuseppe Garibaldi, che indirizzò le loro vite verso una lotta nobile e alta. In suo nome nel 1859 entrambi lasciarono il Friuli e mai più vi avrebbero fatto ritorno.
La “mente”, l’intellettuale, Giuseppe Biscontin, fu notaio a Sacile, scrittore e patriota, ma soprattutto corrispondente dell’ “eroe dei due mondi”, con cui si scambiò diverse lettere che tuttora sono a disposizione degli storici. Proprio per la sua attività patriottica dopo la seconda guerra d’indipendenza, nel 1859, fuggì per evitare il carcere a causa delle sue attività patriottiche antiaustriache, riparando a Modena. Le sue composizioni vibranti di fervore patriottico infiammarono molti ma non gli diedero da vivere. Iniziò quindi la vita da esule, che lo portò a peregrinare sulle tracce del condottiero nelle terre conquistate: prima a Palermo e poi risalendo la penisola fino a Chieti, dove trovò impiego come scrivano del Tribunale Militare e potè stampare la sua opera più nota, la tragedia “Il battiloro”, dedicata a Garibaldi. Cercò fortuna nelle due capitali nuove del Regno, Firenze e Roma.
Non ebbe la possibilità di vedere Roma diventare capitale, invece, la seconda delle due figure, quella più romantica e struggente: il “braccio”, il ragazzo entusiasta che si arruolò nei Mille, era Giovan Battista Bertossi, studente di matematica all’Università di Padova, che per amor del Tricolore mollò gli studi all’inizio della seconda guerra d’indipendenza, corse a Torino e si arruolò. Combatté a San Martino e a fine battaglia venne persino promosso ufficiale dal re sabaudo Vittorio Emanuele II per l’eroismo dimostrato guidando lui, 19enne, un gruppo di soldati rimasti senza comandanti. Il suo afflato patriottico lo spinse poi a seguire Garibaldi, come altri 21 friulani, nella sua impresa al limite dell’insania. A Quarto si imbarcò come tenente della settima compagnia di Benedetto Cairoli e anche qui fece subito colpo sul comandante che lo promosse capitano. Seguì Garibaldi per tutta la Spedizione dei Mille fino al Volturno dove respinse più volte alla guida del suo reparto gli assalti della cavalleria borbonica. Medaglia d’Argento al valor militare, lasciò l’esercito per dedicarsi agli studi. Si laureò in Ingegneria e si stabilì a Varazze, in Liguria, dove però incontrò giovanissimo quella morte che tante volte aveva sfuggito in battaglia. Fu la tisi a strapparlo alla vita a soli 25 anni. Forse anche per la sua fine prematura Giuseppe Cesare Abba, il cantore dell’epopea garibaldina, lo ricorda per due volte. Nelle “Noterelle d’uno dei Mille” ricorda «un friulano dalla barba nera che cantava con voce d’argento un’aria affettuosa e dolente», «La rosade da la sere / bagna el flor del sintiment / La rosade de matine / bagna el flor del pentiment». Mostrava trent’anni, ma ne aveva venti: e si schermiva rispetto agli onori di guerra che aveva avuto dopo San Martino. «È fatto così», conclude Abba, che però poi nel suo celebre diario “Da Quarto al Volturno” ammonisce «la nostra patria sarà grande davvero, quando gli uomini come Bertossi vi nasceranno men rari, e vivranno meno ignorati». —
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