Quando Udine lodava la Dogaressa Elisabetta Grimani

Le parole di elogio per la sposa di Lodovico Manin nella “Gratulazione” pubblicata nel 1763

Federica Ravizza

È l’anno 1763 e i Deputati della città di Udine editano una “Gratulazione” di 11 pagine per la nomina del 48enne Lodovico Manin a Procuratore di San Marco.

Il pamphlet è arricchito da una stampa che ritrae la villa di Passariano: si vedono le statue sulle balaustre della peschiera, un giardino all’italiana, quadripartito, le torri al limite del parco e tanti alberelli lungo il muro di cinta a sinistra. In alto è effigiato il castello di Udine.

È un documento sorprendente, un ritratto della personalità del futuro doge. Si intuisce che i friulani lo conoscevano bene, una serie di incessanti lodi ne evidenzia il tratto principale: “Cittadino eccellente nelle arti della pace… prudentissimo… umano… giusto… generoso… prudente… a voi fu cara la quiete e la sicurezza delle vite e delle persone”.

Gli attribuiscono anche “Placida calma… somma concordia… gentilezza e dovizia… pace e tranquillità… clemenza… giustizia… magnanimità”.

Complimenti ad abundantiam che contrastano con l’opinione dei veneziani, i quali, beffardi, lo canzoneranno così: ”El doge Manin g’ha el cuor picenin xe stréto de man parché el xe furlan”.

Lodovico sarà doge per pochi mesi, a 63 anni dovendo agire in un crinale irripetibile della storia e avrà per antagonista il giovane generale Bonaparte.

I Deputati gli pronosticano: “Le insegne ducali il quale augurio se il ciel seconda…” e aggiungono, ottimisti, “Mancano a imprese più luminose soltanto le occasioni, le quali poco dopo vi prepara il destino, benché ad altri luttuose a voi certamente gloriose”.

Ma al tempo stesso si spingono a preconizzare “Un futuro calamitoso” e “Cangiamenti improvvisi”. Sembrano presagire quegli eventi epocali che si materializzeranno 26 anni dopo e non vedranno Lodovico “Glorioso”.

I Deputati si spingono a lodare l’intera famiglia del Procuratore: due fratelli e tre sorelle definendole “Perle orientali”; dovevano essere ben informati sul menage dei Manin perché per la madre di Lodovico, la colta e autoritaria Maria Basadonna, si limitano a un aggettivo: “Inclita vostra Madre”, mentre per la sua sposa, Elisabetta Grimani, spendono 16 righe di articolati elogi: “Eccellentissima compagna nella gloria… animo gentile e benefico… cuore umano e sincero… il dolce genio e la mente serena… la docil natura… la dignità temperata di gentile e piano costume… l’amor dei saggi e dei buoni… e tante altre sue doti maravigliose… sentimenti veraci… nemica del fasto!”. L’avevano ben inquadrata la mite, schiva Elisabetta che il giorno della proclamazione dogale si rifugerà in campagna da un suo fattore.

È rimarchevole la differenza di trattamento riservato alle due gentildonne: per Elisabetta un omaggio fortemente voluto, per di più stampato, non certo una gaffe; c’è da chiedersi come abbia preso questa gratulazione la temibile Maria Manin, contessa madre.

Si intravede, in filigrana, un ritratto domestico ricorrente nella realtà come in letteratura: una suocera autoritaria, una nuora mite e, tra loro, un tranquillo gentiluomo.

Le lodi a Elisabetta terminano con uno sguardo al futuro piuttosto inusuale: “Altre penne, altre lingue non lasceranno in silenzio quell’intelletto, quell’ingegno e la faranno conoscere degna di quei tempi”.

In anni recenti due romanzi storici Il serenissimo borghese e Notturno con figure, pur ignari della profezia, hanno parlato di lei, di Elisabetta a Passariano in un fruscio di sete in un giorno d’inverno o mentre gioca a moscacieca in un giorno d’estate sotto gli occhi indagatori della suocera, entrambe fatte rivivere nello splendore di giorni lontani quando anche loro abitavano la villa.

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