Non furono mai restituiti alla famiglia i vestiti che indossava

Tra i punti interrogativi l’auto della vittima, sequestrata dagli inquirenti soltanto il giorno dopo

TORVISCOSA. Negli ultimi anni, il lavoro di Aroldo Prosperi si era fatto più pesante. Gli era toccato licenziare una trentina di persone. Nonostante si identificasse nell’azienda, era stanco. Aveva 350 giorni di ferie arretrate.

Era sempre stato un padre molto impegnato, anche se presente nei momenti importanti. «Mi aveva fatto amare questa terra. Fin da bambina, grazie a lui ho imparato a stare nella natura, a conoscere e rispettare le piante e gli animali» ricorda oggi la figlia Donatella.

Il suo scrupolo, la sua precisione si scontravano a volte con la visione aziendale. Ma nulla trapelava. Il giorno del delitto è tranquillo. Alle 17 e 20 si incontra per strada con il suo vice per verificare dei lavori, pochi minuti prima della fatidica telefonata al 112 dà un permesso a un dipendente per uscire prima.

Strano che nessuno degli stretti collaboratori venga chiamato quando Prosperi scompare: forse lo avrebbero trovato prima. E’ un bellissimo pomeriggio d’autunno. Alle 17 e 30 il sole tramonta, il cielo si colora di rosa, il momento più bello.

Quel venerdì, Donatella, che ha 21 anni e studia Medicina a Trieste, non va alla sua ricerca. «Mi dissero di restare a casa con mia madre a presidiare il telefono. Ai carabinieri dissi di getto: forse è nel bosco delle Olmarie». Un’intuizione. Il padre viene trovato lì vicino, in località Cesarolo.

A due passi un centro canoa, gente che fa jogging. Ma fino alle 21 non lo vede nessuno. «Continuavo a chiamare sia mio padre, sia il maresciallo, i telefoni squillavano a vuoto. Eppure lì, sul posto del delitto, da ore c’era mezzo mondo. Hanno calpestato l’intera zona. Non hanno sequestrato l’auto, se non l’indomani. E sono venuti a darci la notizia solo a mezzanotte meno un quarto».

Mesi dopo arano il terreno: la vicenda, ormai, appartiene al passato. Le perplessità della famiglia, denunciate a “Chi l’ha visto?” nel 2002, partono dalla telefonata al 112: Prosperi possedeva il numero di telefono diretto della locale stazione dei carabinieri, perché chiamare il centralino?

Ai dubbi si unisce la sofferenza: fra le poche cose restituite, non sono mai tornati a casa i vestiti che indossava. Perché?

Non era un uomo facile, Aroldo Prosperi: non era accondiscendente, per lui veniva prima il dovere. Ma era capace di incantarsi di fronte alle meraviglie naturali. Quel pomeriggio del 19 ottobre 2001 si era entusiasmato raccontando a un collega di alcune gru che ha fotografato in volo.

Prosperi amava e difendeva la natura. Senza pensare che, invece, avrebbe dovuto difendere se stesso dall’uomo, dal suo assassino.

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