L’embargo russo fa piú male all’Italia

PORDENONE. Per raccontare l'incontro con Nicolai Lilin, domenica mattina alle 11.30 in uno straripante Palaprovincia, intervistato dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier, bisogna iniziare dal pubblico. Dai numeri, certo, perché fa sempre impressione un tutto esaurito.
E fa impressione la pazienza e la calma, il silenzio e l'attenzione, fanno piacere le domande, pertinenti. Fa impressione la lunga fila in attesa di un autografo, e fa piacere che la maggior di loro parte siano ragazzi.
Nella scuderia di Einaudi fin dal suo esordio nel 2009 con "Educazione siberiana", libro di successo tradotto in 24 lingue e consacrato con l'omonimo film diretto da Gabriele Salvatores, Nicolai Lilin a Pordenonelegge ha presentato il suo quinto libro "Il serpente di Dio".
Un racconto che si discosta dal filone e dalla scrittura dei racconti precedenti e nella conversazione orientata da Monestier consente piuttosto di parlare di una verità diversa, una guerra diversa, quella che non compare sui media e che lui racconta sulla sua pagina Facebook.
Una guerra moderna, che è sempre sporca, ostaggio di interpretazioni e letture ideologiche e che Lilin prova a spiegare guardandola da dentro, dalla parte dalla quale queste cose si vivono per davvero, e non dallo schermo di una televisione che trasmette immagini selezionate, filtrate, montate.
Lui, che di guerre ne ha vissute cinque, la prima a dodici anni, è deciso nello smascherare le mistificazioni, «perché quando ci fanno vedere l'immagine di un islamico che taglia la testa a un giornalista occidentale, niente è spontaneo - sottolinea -, ma è invece il risultato del lavoro di chi che ha interesse a farci vedere quelle cose».
Ridicolizza la lettura che alcuni giornali occidentali danno della guerra in Ucraina e dell'effetto dell'embargo europeo. Fa nomi e cognomi, cita La Stampa e le cronache dell'esperta di "putinismo" Anna Zafesova, la sua descrizione apocalittica di una Mosca allo stremo, e racconta di una realtà diversa.
Le sue sono fonti di prima mano, un cugino direttore di supermercato che gli dice che prima dell'embargo avevano già riassestato i mercati dei fornitori e sostituito quelli europei con Viet-Nam e Argentina, per esempio, a prezzi e qualità anche più vantaggiosi.
È un colonnello del servizio segreto, o un amico trafficante il cui unico danno subito dall'embargo è lo spazio dove teneva le auto rubate occupato ora da frutta e verdura che arriva dall'estero. O ancora del magnate che invece di avere problemi con i mercati internazionali li ha per parcheggiare la sua Bentley da mezzo milione di euro.
Racconta, piuttosto, di un embargo che ha ridotto sul lastrico un suo amico italiano, titolare di un'azienda che fatturava milioni di euro commerciando con Mosca. Perché «se nel mondo c'è crisi, a Mosca è sempre venerdì», recita un proverbio russo.
Sottolinea più volte la necessità di uno sguardo geopolitico ai conflitti in atto, svela le scelte politiche criminali anche del nostro governo, di Renzi e della Mogherini, della sudditanza a interessi economici che non hanno nulla a che fare con l'interesse della gente.
E ce ne parla da amico, quasi da fratello, lui che ha scelto di essere italiano e che ha letto commosso la nostra Costituzione, e che ci crede ancora, nonostante tutto.
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