Le ceramiche che hanno raccontato la storia industriale di Pordenone
Il 15 aprile aprirà al pubblico “Viva Galvani”. Esposti pezzi e disegni firmati da Giuntini, Leoncini e De Carli

Non offre “soltanto” l’occasione di ammirare vasi che sorprendono per la loro modernità e per desiderare di mettere in tavola piatti o zuppiere di incantevole bellezza la mostra “Viva Galvani” che aprirà al pubblico sabato 15 aprile (visitabile con ingresso libero fino all’11 giugno), allestita in tre sale al piano inferiore di palazzo Ricchieri, il museo civico d’arte di Pordenone. Perché in mostra c’è la storia di una città, della sua identità, dell’arte e dell’artigianalità, dell’imprenditoria e del “saper fare”, c’è la Pordenone delle grandi industrie e dei suoi capitani d’azienda, c’è l’affetto nei confronti di un marchio (il famoso galletto) che è profondamente radicato nella memoria collettiva e nei ricordi dei pordenonesi: quelli “doc” hanno sicuramente in casa qualche pezzo uscito dalla “Galvani”, che è stata una delle più importanti fabbriche di ceramica italiane (la terza del Paese) dell’Ottocento e del Novecento, ha dato lavoro a centinaia di persone e le cui vicende si sono sempre intrecciate con quella della città.
E se i pezzi esposti sono già capaci di suscitare ammirazione, figuriamoci cosa dev’essere trovarsi al cospetto del “tesoro” costituito dall’intera raccolta della collezione Galvani – acquistata dal Comune di Pordenone nel 1984, dopo che la Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia la vincolò per impedirne la dispersione, poiché la fabbrica nel 1983 aveva chiuso definitivamente i battenti. Custodita nei civici musei, la collezione intera è formata da più di diciassettemila oggetti, fra i quali duemilacinquecento esemplari in ceramica realizzati fra la seconda metà del XIX secolo e la fine degli anni Settanta del ’900, alcuni dei quali sono prove di fabbrica, pezzi unici, modelli o prototipi. Finalmente, oggi, nel solco di un’operazione ad ampio raggio che punta a “tirar fuori dai magazzini, a rotazione, i tesori artistici della città”, come ha sottolineato ieri presentando la mostra alla stampa l’assessore alla cultura e vice sindaco di Pordenone Alberto Parigi, per tre mesi si potrà vedere un “Bignami” del “tesoro” Galvani, pezzi selezionati e suddivisi in tre aree tematiche dalla curatrice della mostra, Loredana Gazzola.
Un’operazione iniziata dietro le quinte (lo staff del museo, guidato da Fabiana Iurig, si sta occupando della corposa catalogazione) e che per scelta di Gazzola «punta a raccontare ciò che non è mai stato raccontato», ma anche «a parlare ai giovani», soprattutto quelli che hanno a che fare con l’arte o il design, «affinché siano consapevoli di questa parte di storia della città e del pregio di opere alle quali possono ispirarsi». Ecco, allora, nella prima sala, i magnifici vasi dalle forme essenziali e pulite, esposti anche alla Biennale di Venezia nel 1942, «germogliati – così Gazzola – da gruppi di vasi nati dalla linea dettata dall’allora direttore artistico della fabbrica, Angelo Simonetto».
La seconda sezione, “A tavola con Galvani”, scandisce l’intima quotidianità delle famiglie con oggetti che l’accompagnavano dal caffelatte alla cena: in tutta Italia si usavano le terraglie marchiate dal galletto e che portavano nelle loro case il nome di Pordenone, ora esposte a fianco a prototipi mai entrati in produzione.
Nella terza sala. “Galvani d’autore” mette in luce l’apporto che diedero all’affermazione della Galvani artisti internazionali e designer famosi, rendendo alcune ceramiche vere e proprie opere d’arte. Si dà per certo, ad esempio, la realizzazione di un servizio completo a firma di Giacomo Balla, esponente di spicco del Futurismo, e poi manufatti dello scultore e decoratore Ruffo Giuntini e del grafico pubblicitario Leo Leoncini. E le opere dell’eclettico artista Toni De Carli, soprattutto i magnifici vasi e servizi da tavola.
La mostra espone inoltre, bozzetti, studi, e anche fogli di campionario risalenti all’epoca in cui i disegni sostituivano le fotografie, spesso realizzati dalle stesse maestranze e quindi anonimi, come lo erano tutti i pezzi realizzati a mano. «Quando invece la Ceramica si spostò in via Nuova di Corva e diventò una vera e propria industria – ha ricordato Gazzola – rimase un piccolo reparto per il lavori fatti a mano e per la prima volta le maestranze cominciarono a firmare i pezzi (dietro) per differenziarli dalla produzione industriale». Fra i periodi “dimenticati” la curatrice ha ricordato la fase industriale della fabbrica, che nel 1973 cambiò proprietà, ma quando “vip” come Afra e Tobia Scarpa, coppia protagonista della cultura e del design del ’900, disegnarono un servizio da tavola, oggi esposto in mostra o la firma di Franco Giacometti, titolare di uno dei maggiori studi di visual design dell’area trevigiana dai primi anni ’60 all’inizio del Duemila. Una fase, questa, che non ebbe uno sviluppo ulteriore, perché secondo i racconti degli ultimi testimoni sembra che la Galvani non fosse pronta a lavorare con nuovi materiali. «Una mostra di portata eccezionale – ha concluso ieri con orgoglio l’assessore Parigi– che premia Pordenone per la sua storica vocazione all’artigianato, all’imprenditoria, ma anche all’avanguardia e al futuro, che sono lo spirito stesso di questa terra».
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