La storica americana Naomi Oreskes: «Tanta disinformazione sulla scienza del clima»

La studiosa riceverà a Percoto il premio “Maestro del nostro tempo”: «L’industria dei combustibili fossili ha mobilitato una strategia»

 

 

Sergio Frigo

Docente di storia della scienza ad Harvard, inserita da Time fra le 100 persone più influenti al mondo sui temi climatici, 65 anni, la studiosa americana Naomi Oreskes riceverà domani a Percoto il riconoscimento “Maestro del nostro tempo” per “aver messo in luce il consenso scientifico sui cambiamenti climatici causati dall’uomo e attirato l’attenzione sugli sforzi delle aziende americane per minare questa conoscenza – come scrive la giuria del Nonino – Usa la ragione per combattere la negazione del cambiamento climatico e le campagne di delegittimazione della scienza”, come mostrano in particolare i suoi libri “Mercanti di dubbi”“(con Eric Conway, ed. Ambiente) e “Perché fidarsi della Scienza?” (ed. Bollati Boringhieri), in cui evidenzia lo stretto legame fra l’imporsi del neoliberismo, la concentrazione della ricchezza e la crescita dei consumi energetici e delle emissioni nocive.

Perché su questioni come i vaccini o il cambiamento climatico molte persone non credono agli scienziati arrivando addirittura a mettere in discussione le proprie esperienze personali?

«Le persone non sono idiote, ma sono state oggetto di campagne di disinformazione di lunga data, ben organizzate e ben finanziate, progettate per mettere in dubbio la scienza del clima e quindi indebolire il sostegno pubblico all’azione per il contenimento del riscaldamento globale. Nel nostro libro “Mercanti di dubbi”, Erik Conway e io abbiamo mostrato come l’industria dei combustibili fossili e i suoi alleati hanno mobilitato una strategia sviluppata già a suo tempo dall’industria del tabacco per mettere in dubbio i danni del consumo di sigarette dimostrati scientificamente. Una parte di questa campagna insiste sul fatto che il riscaldamento osservato e gli eventi estremi sono solo “variabilità naturale”. Quindi, anche se le persone ora vedono il cambiamento climatico coi propri occhi, non lo collegano necessariamente alle attività umane, dall’uso di combustibili fossili, alla deforestazione e all’agricoltura animale».

Sul clima quali sono le strategie per mettere in discussione le acquisizioni degli scienziati e perché ottengono tanto credito dai media?

«Si mettono in dubbio le acquisizioni scientifiche ad esempio negandone il consenso, evidenziando punti di vista scientifici minoritari o addirittura non scientifici per creare l’impressione di un ampio dibattito laddove, in realtà, esiste un ampio consenso tra gli esperti appropriati. I mercanti di dubbi fanno appello al senso di “obiettività” e di “equità” dei media per insistere sul fatto che queste opinioni meritano “uguale spazio” o “uguale tempo”. I giornalisti cadono nella trappola perché credono nell’equità e nell’obiettività. Anche io ci credo. Ma l’equità non ci impone di promuovere bugie. E obiettività non significa dare uguale credito ad affermazioni che sono state confutate da prove scientifiche. Una visione oggettiva di una situazione è una visione accurata, non una visione che aderisce pedissequamente all’idea che ci sono due lati uguali e opposti in ogni questione. Nella scienza, a volte esiste davvero una risposta giusta, o almeno una risposta che ha tutte o la maggior parte delle prove dalla sua parte».

Molte aziende stanno operando per rendere sostenibili le proprie produzioni, e a partire da questo alcuni osservatori sostengono che si stiano facendo passi significativi per contenere le emissioni nocive e l’aumento della temperatura: condivide questo ottimismo?

«Sì, alcune aziende stanno compiendo passi significativi verso la sostenibilità. Sono veri leader e meritano grandi elogi. Tuttavia, la portata della loro azione in questo momento è molto ridotta rispetto a quanto in realtà dovrebbe essere fatto. Abbiamo bisogno di impegni decisamente più forti da parte del settore privato, compreso un aumento significativo degli investimenti nelle energie rinnovabili. Bisogna anche che il settore finanziario smetta di finanziare nuove infrastrutture per i combustibili fossili. Ma ciò che ostacola un più ampio impegno del settore privato nella sostenibilità è l’assurda premessa per cui le società esistono esclusivamente per “massimizzare il valore per gli azionisti”. Questa è un’affermazione ridicola, immorale e antistorica, che vanifica l’intero scopo di avere un’economia, che dovrebbe essere quello di promuovere il benessere umano. Le aziende devono pensare in modo olistico: al valore per gli stakeholder, non solo al valore per gli azionisti. Gli azionisti sono importanti, ovviamente, ma lo sono anche i lavoratori, i consumatori, i membri della comunità e il mondo naturale da cui tutti dipendiamo per la sopravvivenza e il sostentamento».

Quali rischi vede nella possibile rielezione di Trump a presidente degli Stati Uniti?

«Infiniti». —

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