La crocerossina Margherita Kaiser Parodi unica donna tra i caduti sepolti a Redipuglia

Con questo articolo si conclude oggi la serie di ritratti di donne friulane, curata dallo scrittore e giornalista Giuseppe Mariuz.
Tra i centomila caduti italiani sepolti nel sacrario di Redipuglia vi è una sola donna, deceduta il primo dicembre 1918 a Trieste all’età di ventuno anni: Margherita Kaiser Parodi. Causa della morte: influenza spagnola, contratta nell’ospedale militare dove curava i soldati malati o feriti a seguito della disastrosa guerra appena conclusa. Non è friulana, ma in questa regione ha vissuto intensamente gli ultimi tre anni della sua breve vita e qui riposa. Margherita era nata a Roma il 16 marzo 1897, figlia di Giuseppe Kaiser Parodi, benestante livornese di origine tedesca, e di Maria Orlando, proveniente da una famiglia di costruttori navali e di armamenti, legati da tre generazioni alla causa risorgimentale (il nonno aveva partecipato all’impresa dei Mille di Garibaldi).
Nel giugno del 1915 la diciottenne Margherita abbandona gli studi liceali ed è tra le prime, assieme alla sorella Olga e alla madre che si era fatta garante per le figlie, a chiedere di prestare servizio volontario nella Croce rossa italiana “presso le unità mobili per dare l’opera mia a favore dei combattenti feriti o malati”. In quella prima fase della guerra, la professione di infermiera volontaria è ancora un lusso che si possono concedere solo le donne aristocratiche, alto borghesi e soprattutto agiate, dovendo provvedere personalmente ad ogni spesa. Solo un anno dopo, di fronte alle aumentate esigenze, l’esercito garantirà vitto e alloggio.
Il servizio volontario delle crocerossine fu sicuramente una delle vie più importanti dell’emancipazione femminile in un paese come l’Italia che ai quei tempi era ancora profondamente maschilista. Non erano sorti movimenti come quelli delle suffragette e nessuna poteva contestare il potere costituito, salvo finire reclusa in carcere o in manicomio. Con la loro opera sempre più indispensabile davanti agli orrori della guerra, le infermiere rovesciarono lo stereotipo della donna tradizionale che le vedeva solo come casalinghe e riproduttrici. Si costruirono una nuova dignità sociale e lavorativa quantunque la loro presidente, Elena duchessa d’Aosta, affermasse che erano “tenute alla sottomissione e all’ubbidienza (…) lontane da ogni velleità di comando o ambizione di supremazia”.
La prima destinazione di Margherita è Cividale del Friuli, alle dipendenze della Terza armata nelle retrovie del fronte dell’Isonzo dove è impegnata la maggior parte dell’esercito italiano. Non è difficile immaginare cosa fosse per lei, cresciuta negli agi, dover dormire su un sudicio pagliericcio, senza luce elettrica, acqua corrente e riscaldamento, tra topi, mosche e pidocchi. E quali sentimenti deve aver provato, al termine di ogni battaglia e nei giorni successivi, nelle camerate o tra le tende a prestare soccorso ai soldati feriti o moribondi, dilaniati dal fuoco delle mitragliatrici, dai proiettili di cannoni e mortai, dalle schegge di granata o intossicati dai gas asfissianti. Tocca a lei, erede degli Orlando fabbricanti d’armi, prendersi cura delle vittime: lavare, disinfettare, bendare, consolare i poveri soldati, aiutare i medici nelle operazioni per amputare un arto o ricucire un volto sfigurato. La sua opera è ritenuta valida e preziosa, tanto che nell’ottobre del 1916 viene dislocata in un ospedale chirurgico mobile a San Pier d’Isonzo e le vengono conferite due stellette che indicano le sue nuove responsabilità di guida e comando verso le consorelle.
Il 19 maggio 1917 Margherita Kaiser Parodi si trova sotto il fuoco di un attacco austriaco, ma rimane al suo posto con spirito di abnegazione e fratellanza umana. Per questo comportamento, le viene conferita la Medaglia di bronzo al Valor militare con la seguente motivazione:”per essere rimasta serena al suo posto a confortare gli infermi affidati alle sue cure, mentre il nemico bombardava la zona dove era situato l’ospedale cui era addetta”. Riceve in seguito la medaglia d’argento come benemerita della salute pubblica.
Arriva poi la tragica ritirata di Caporetto. Il 27 ottobre 1917 lo Stato maggiore dà l’ordine di sgombero. Alle 13.30 Margherita assieme a un’altra infermiera e a un capitano medico parte su un automezzo accompagnando i feriti più gravi in direzione San Giorgio di Nogaro. Nella catastrofe della ritirata, il suo ospedale perde gran parte delle dotazioni: materiale sanitario, medicinali, attrezzature, lenzuola e indumenti, perfino un furgone che si rovescia su un fosso. Tocca ricominciare daccapo sulla linea del Piave, ma Margherita non si scoraggia e non si lamenta. In una lettera scrive che nei giorni limpidi vede il monte Hermada e il golfo di Trieste: “Tutto il nostro cuore si spinge là, fino all’agognata città”.
A Trieste ci arriva per davvero, ai primi di novembre. In un clima euforico, non si contano baci e abbracci. Anche nell’ospedale militare vi è una confusione incredibile. Ora ai feriti di guerra si aggiungono quelli che si ammalano per una terribile epidemia che sta dilagando in Europa, chiamata Spagnola, che debilita e spesso uccide. Lei continua a curare e assistere, senza risparmiarsi dalle fatiche, dal freddo, dalle veglie notturne, finché il suo fisico cede: spossatezza, febbre, dolori muscolari, poi tosse profonda, scariche, delirio. Provano a curarla come si può, ma inutilmente. A vent’anni dalla sua morte la salma, inizialmente sepolta nel Colle di Sant’Elia tra i soldati caduti della Terza armata, verrà traslata nel primo gradone del sacrario di Redipuglia. A Margherita Kaiser Parodi è intitolata una via di Livorno e la sede della Croce rossa di Premariacco. —
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