«Il seduttore di Fabbri, teatro oltre i sensi di colpa»

L’attrice in scena al Pasolini di Casarsa con Roberto Alpi. «Testo ironico e profondissimo»

Milanese di nascita e formazione, come molti artisti dello spettacolo, romana di adozione, Laura Lattuada coniuga fascino e serietà, “una persona per bene” come ama definirsi, con alle spalle una cospicua carriera d’attrice. Carriera iniziata quasi per caso con uno sceneggiato di grande successo “Storia di Anna” di Salvatore Nocita, proseguita poi a teatro con Proietti, Lavia, Dorelli, Zingaretti, tanto per citarne alcuni, con numerose partecipazioni cinematografiche e diverse esperienze come conduttrice televisiva di format come “Passepartout” in cui intervistava personaggi famosi a casa loro. In questa stagione Laura Lattuada è protagonista di un classico del teatro italiano del ‘900, “Il seduttore” di Diego Fabbri, che sarà in scena oggi, mercoledí 31, al Teatro Pasolini di Casarsa, alle 20.45. in una messa in scena firmata da Alessio Pizzech. Un testo, del 1951, nel quale si racconta la vicenda agrodolce di Eugenio, interpretato da Roberto Alpi, titolare di un’agenzia di viaggi, che pur sposato regolarmente, intrattiene ben due relazioni extraconiugali. Con perfido cinismo fa in modo che moglie e amanti si incontrino in un Caffè, imbastendo un gioco rocambolesco di equivoci e situazioni tragicomiche, prima di un finale sorprendente…

Ne parliamo con Laura Lattuada, partendo dal suo personaggio? «Interpreto Wilma, forse il personaggio meno scontato: non è la moglie né la segretaria ingenua e romantica: ma è una donna vissuta con un mondo di dolore, di problemi, Wilma la rossa è una donna complicata che nonostante tutto ha un grande cuore e occupa la zona più inquieta e turbata nel cuore del seduttore».

Quale l’interessante del testo, al di là dell’accattivante gioco teatrale? «Il dibattito che fa scaturire in chi lo vede, è se sia possibile amare contemporaneamente tre donne. Con gli uomini che pensano che sì, mentre la maggior parte delle donne pensa il contrario. Lo stesso Fabbri, che pure era profondamente cattolico, ha avuto praticamente due famiglie. Il testo, che nella prima parte ha quasi un andamento da pochade, poi si rivela molto riflessivo e supera anche certi sensi di colpa, per arrivare invece a parlare dell’amore come il bisogno di qualcosa di più alto, universale, al di là delle convenzioni e dei ruoli».

Teatro, cinema, tv: dove si trova a suo agio come artista? «Sto benissimo dappertutto. Il teatro mi piace molto, anche se ho la sensazione, con grandissimo dolore, che oggi stia perdendo colpi, perché lo sento come molto scollato dalla realtà; avverto una sorta di pericolosa autoreferenzialità che finisce col coinvolgere solo noi teatranti. Mentre altri mezzi come la tv, il web sanno interpretare l’oggi, ne colgono gli aspetti più salienti».

Pur essendo un personaggio di successo, non sembra inseguire molto lo star system, i salotti televisivi. Perché? «Fino a qualche anno fa seguivo solo la mia indole che è quella di fare unicamente le cose che mi piacciono e stare con le persone che mi piacciono: ero un cane sciolto, una barricadera, molto critica e selettiva. Oggi che sono una signora di mezza età sono molto più accomodante».

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