Il ritorno di Carrisi: «Racconto il mistero della maternità come fosse un thriller»

Lo scrittore mercoledì 29 sarà alla Libreria Moderna di Udine. Nel libro il rapporto tra una madre carrierista e la figlia

Alex Pessotto

Ha venduto più di 4,7 milioni di copie (oltre 1,7 in Italia). È tradotto in più di trenta lingue. Da anni, Donato Carrisi è ormai un autentico fenomeno editoriale.

Attivissimo, lo scrittore è ora nelle librerie con L’educazione delle farfalle (Longanesi, 432 pagine, 23 euro). In questo caso, al centro del suo nuovo lavoro c’è un rapporto tra madre e figlia. La madre, Serena, è una broker di successo, che mai si sarebbe immaginata genitrice.

Come nasce, come si sviluppa, il suo intento materno? Naturalmente, trattandosi di Carrisi non si è però in presenza di una storia melliflua, sdolcinata, di quelle che sarebbero tipiche nelle famiglie formato Mulino Bianco.

Insomma, tutti gli elementi che tengono attaccato il lettore alla pagina ci sono eccome. Come sempre nei libri dello scrittore che sarà possibile incontrare oggi, alla Lovat di Trieste, alle 11, e poi nel pomeriggio a Udine, per un firma copie alle 14 alla Libreria Moderna e infine alle 15.45 della libreria Ubik di Pordenone.

Carrisi, potrebbe definire “L’educazione delle farfalle”? Si tratta di un thriller, di un giallo, di un noir?

«Di sicuro non è un giallo, perché non sono un giallista. È un thriller. Poi, il noir è un po’ la famiglia di tutti questi generi. Sì, thriller e noir sono definizioni abbastanza coincidenti».

Lei è diventato estremamente popolare con “Il suggeritore”, uscito nel 2009. Cosa aveva quel libro di così speciale? Dove risiede il segreto di così tanto successo?

«Visto che “Il suggeritore” è rimasto un po’ nella memoria collettiva e continua a vendere copie e quindi a piacere, direi che l’attualità di questa storia è alla base del suo successo. Nel “Suggeritore” ognuno riesce, ancora adesso, a trovare qualcosa di nuovo, anche se, da allora, sono passati quasi quindici anni».

Lei è molto attivo anche sul fronte della comunicazione. Si può insegnare a scrivere noir, thriller? Più in generale, si può insegnare a scrivere?

«Non si può insegnare a scrivere: si impara da soli. Che poi non si tratta tanto di scrivere quanto di raccontare. Ma la tecnica sì, è possibile insegnarla».

Come si può imparare da soli a scrivere?

«Leggendo, andando al cinema. La storia è sempre quella: libri generano libri. Quindi, se uno non legge non diventerà mai uno scrittore».

Chi sono stati i suoi maestri?

«Ce ne sono stati tanti. Sono onnivoro. Leggo veramente di tutto. Però, non ho mai avuto scrittori di riferimento, semmai ho avuto libri che mi hanno segnato molto. Ma sono decine. Citarne uno vorrebbe dire fare un torto agli altri».

E per quanto riguarda il cinema?

«Sergio Leone, Alfred Hitchcock, oltre ai moderni: tutti i maestri del thriller degli anni Novanta: “Seven”, “I soliti sospetti”, “Il silenzio degli innocenti”. Sono quelle le mie matrici».

Serena, la protagonista del suo ultimo libro è una broker agguerrita. Lavora quindi nel mondo dell’alta finanza. Quanto il denaro e il potere hanno finito per costituire elementi utili alla trama del thriller?

«Queste sono solo le caratteristiche iniziali del personaggio, ma non elementi determinanti per lo svolgimento della storia. Quello che conta sono infatti altri fattori».

Quali?

«È il rapporto tra madre e figlia che costituisce il tema principale del libro. E si tratta di un rapporto strano. Perché Serena non voleva essere madre. Si ritrova a esserlo suo malgrado. All’inizio è una madre di un certo tipo, diversa da quella che sarà alla fine. Ecco, questo romanzo dimostra che è possibile costruire la suspense su un rapporto tra madre e figlia».

Il libro è ambientato a Milano, la città dove vive, dividendosi con Roma. Che Milano emerge nel romanzo?

«I luoghi del libro sono tre. C’è la Milano alta, quella dei grattacieli, tra le nuvole. E poi c’è la Milano bassa, che è rimasta un grande paese, alla base di quei grattacieli.

I due mondi sono collegabili da un ascensore, ma in realtà sono diversissimi: è come andare da un pianeta all’altro. E poi c’è Vion, una località svizzera immaginaria, che però è la summa di tante località turistiche svizzere. Durante la stagione sembrano posti aperti, frequentati dal mondo, con la gente ospitale e accogliente.

Ma poi, tra una stagione e l’altra, quando gli alberghi chiudono, tornano a essere i posti di cent’anni fa: luoghi chiusi, con la popolazione diffidente, piena di segreti. Ecco, le mie due protagoniste, madre e figlia, si muovono in questi tre mondi».

È un libro che in qualche modo si collega a qualche suo libro precedente, anche per i temi trattati?

«Da un punto di vista narrativo no. C’è un fil rouge che, naturalmente, sono io, oltre alla tendenza a spiazzare il lettore».

Quando lei comincia un libro sa già dove andrà a finire?

«Certo. Se non sapessi il finale sarei uno scellerato. Nel thriller quello che conta è proprio il finale. Occorre conoscere la meta. Poi, il percorso può variare».

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