"Il mio nome è Fausto Coppi": i segreti, gli affetti e il mito dell'Airone raccontati in 14 aneddoti

A raccogliere le testimonianze è Maurizio Crosetti che ripercorre la vita del ciclista nato 100 anni fa. Un vero e proprio atto d'amore per uno sportivo che ha fatto la storia dell'Italia

Il Campionissimo raccontato da 22 “satelliti” del suo mondo. Quello che è considerato il più grande sportivo italiano di tutti i tempi radiografato centimetro dopo centimetro, sviscerato.

Non immaginato. Perché Maurizio Crosetti, inviato di La Repubblica e scrittore ne “Il suo nome è Fausto Coppi” (Einaudi, 17,50 euro), facendo parlare questi personaggi ti porta direttamente dentro la vita del grande campione del ciclismo, di cui il 15 settembre ricorreranno i cent’anni dalla nascita. Da papà Dumenìchin, reduce della Grande Guerra, che fa in tempo ad ascoltare alla radio il successo al Giro 1940, a Costante Girardengo, il Campionissimo offuscato dal conterraneo.

E poi i figli Marina e Faustino, naturalmente Gino Bartali, con l’immagine del toscanaccio che tiene per mano mamma Angiolina nella cucina della casa di Castellania trasformata in camera ardente in quel maledetto inizio di gennaio 1960, e Giulia Occhini, la Dama Bianca, l’“altra metà” della vita di Fausto, la donna per cui il campione perse la testa, fece dividere l’Italia ma, ora lo si può ben dire, fece fare al Paese una rincorsa poderosa verso la civiltà. Tutto questo in un libro che, in fondo, è un grande atto d’amore per un ciclista entrato prepotentemente nella storia d’Italia, quando il Paese, dilaniato dalla guerra, si aggrappò letteralmente agli assi del pedale per rinascere, ma che oggi continua a far parlare di sé più che mai nonostante l’incedere del tempo.

Leggete questi 14 “camei” del racconto di Crosetti e vi sembrerà di pedalare a fianco al Campionissimo.

  • Mamma Angiolina (Racconta i momenti della camera ardente a casa Coppi)

«Il signor Bartali, quando tutti sono rimasti nella sala col mio Fausto, è venuto a sedersi con me in cucina e aveva la faccia bianca. Stavamo da soli io e lui. Ha pianto un po’ ma senza fare cuore e io avevo impressione di quell’uomo che lacrimava zitto come una donna triste».

  • Biagio il massaggiatore (Il cieco Cavanna “che scoprì” i muscoli del campione)

«Fausto non parla. Poi gli chiedo di darmi il polso e rimango così, in ascolto della cosa più importante, il cuore del ciclista che se a riposo va troppo svelto è meglio lasciar perdere, arrivederci e grazie. Il cuore di Fausto è il tamburo di un musicista pigro, túm, poi più niente, pi di nuovo túm. Quel ragazzo di sedici anni che pare un uccello morto ha quaranta pulsazioni al minuto, non una di più».

  • Costante Girardengo (Il fuoriclasse di Novi, scalzato da Coppi)

«Perché ero il più forte, ma una cosa l’ho sbagliata: scrivere la lettera ai giornali dove dicevo che l’unico Campionissimo ero io, mentre invece era già nato uno più grande di me e proprio dalle mie parti che è anche peggio, proprio tra Novi e Tortona doveva arrivare quel sacramento di scalòss, di scheletro ambulante, che almeno il belga era venuto da lontano».

  • Il fratello Serse (Morto nel 1951 dopo una caduta in bici alla Milano-Torino)

«Quando Fausto aveva il magone, era Serse che andava. Senza dire proprio niente, però io capivo. Me lo prendevo e lo portavo via come da ragazzini che si tirava ai passeri con la pistola del bisnonno che faceva più baccano che altro».

  • “Pinella", il meccanico (Giuseppe De Grandi che accompagnò il campione per tutta la carriera)

«Fausto non trascura niente. Siccome ha lo stomaco delicato, deve stare attento al mangiare degli altri. Gli piacciono il riso al burro e il doppio filetto ai ferri. In allenamento si porta dietro pasticcini di riso, frutta e zollette di zucchero, certamente, e in gara ha il borraccino come tutti, mai negato di averlo anche se lui è comunque il più grande, borraccino o meno).

  • Sandrino Carrea (Con Ettore Milano lo storico “aiutante”)

«Il gregario è un bel mestiere. Noi della Bianchi a quel tempo guadagnavamo il triplo degli altri anche per via dei premi che Fausto ci lasciava. Il più scarso tra noi, alla fine della carriera se non era stupido si era fatto due o tre appartamenti».

  • La moglie Bruna (Ligure, maestra elementare sempre nell’ombra)

«Eravamo gente semplice, e lui anche di più. Quando ha conosciuto quella donna forse avrà visto un mondo diverso che aveva solo immaginato, il mondo dei sottopiatti ricamati e delle pellicce, vai a sapere».

  • La figlia Marina (Travolta, a sua insaputa, dal ciclone Dama Bianca)

«Mi chiamano la donna che visse due volte, nel senso che ho la mia vita e poi quella della memoria, alla ricerca di papà. Ne sorrido, però so che è vero. La prima immagine e la sua gentilezza».

  • Gino Bartali (Il rivale di sempre, ma anche l’amico)

«Dal ’46 al ’54 lui non è mai stato raggiunto in fuga, e questo vi dice contro chi dovevamo batterci. Io ero un carrarmato, lui un puledro. Ci separavano solo cinque anni, eppure mi chiamavano il vecchio e per tanta gente era come se fossi il padre di Fausto oppure lo zio, questa cosa non l’ho mai capita».

  • Raphael Geminiani (L’ex compagno che lo invitò nel fatale viaggio in Africa a fine 1959)

«Mi vergogno di essere sopravvissuto a Fausto, l’avevo portato io in Africa, ma tormentarmi non serve a niente, non mi restituisce l’amico, solo il ricordo di lui».

  • Ettore il gregario (L’altro “aiutante” fino all’ultimo)

«È morto alle otto e tre quarti di un sabato mattina, e gli han messo addosso il vestito che avevo portato io. Non so per quante notti poi non ho dormito. Sapevo che in qualche modo anche la mia vita finiva, voglio dire la parte più bella».

  • Faustino, il figlio (Del padre ricorda solo le carezze, poco più)

«Mio padre e mia madre si sono voluti bene, tutto lì, e io sono figlio di quel bene. Mia sorella Marina non si è opposta quando ho preso finalmente il cognome Coppi: lei è mia sorella, è la parente più stretta che ho».

  • Giulia, la dama bianca (La compagna del campione dal 1953)

«Io e Fausto abbiamo avuto sette anni d’amore, troppo pochi ma io non li cambierei neppure per un secolo di un’altra vita. Sopportammo tutto, sguardi, allusioni insulti, lettere anonime, sputi in terra. Persino quel cartello dove un tifoso aveva scritto «Viva Marina abbasso Faustino» perché Marina era la figlia legittima, Faustino quello della colpa. Ma i bambini sono tutti uguali e noi li abbiamo amati moltissimo».

  • Fausto (5 Giri, due Tour, un Mondiale, le Classiche, la pista, il mito)

«Il giorno più felice della mia vita da corridore è stato quando mio fratello Serse ha vinto per sbaglio la Parigi Roubaix. Ci siamo abbracciati come neanche da bambini. Poi lui cade in quel modo e muore».

Insomma, siamo pronti a scommetterci su: chiuso questo libro, in molti prenderanno l’auto e andranno a Castellania, il borgo che da qualche mese ha aggiunto al suo nome quello del figlio più caro, Coppi.

E, visitando la casa natale del Campionissimo, meravigliosamente conservata dall’amore dei paesani, o guardando quel colli, l’Airone sembrerà vederlo scattare in salita ancora. Sempre seduto sul sellino, composto, regale. Naturalmente.

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