Il collasso dell’ex Jugoslavia che spazzò via l’infanzia di Jan

Lo racconta lo scrittore sloveno Sebastian Pregelj in “Il giorno in cui finì l’estate”. Il romanzo è stato presentato nella nuova sede di Bottega Errante a Udine

Fabiana Dallavalle

UDINE. Inaugurazione con presentazione del libro di Sebastian Pregelj “Il giorno in cui finì l’estate” (Bee estensioni) per la casa editrice Bottega Errante che sabato 3 dicembre ha aperto al pubblico la nuova sede a Udine. «Un’occasione speciale», annuncia la giornalista Anna Piuzzi, in apertura dell’incontro che ha visto presenti lo scrittore Pregelj, il traduttore del romanzo, Michele Obit, l’interprete Peter Senizza e l’attrice Monica Mosolo che leggerà alcuni capitoli tratti dal libro.

«Un romanzo di formazione, che racconta la fine della Jugoslavia e l’indipendenza della Slovenia, attraverso lo sguardo di un bambino, probabilmente il primo romanzo sloveno che, intreccia una storia personale – commenta la giornalista Anna Piuzzi – con la storia di un Paese. Un romanzo potente, attraversato da un senso di sospensione e attesa per quello che ancora non è».

«I personaggi sono giovanissimi – anticipa l’autore. Siamo a Lubiana, sullo sfondo il futuro della Slovenia. Vi porto nelle vicende pubbliche e collettive e in quelle intime di alcuni ragazzini, sono loro che ci fanno entrare nei luoghi dove ci sono le paure degli adulti».

Jan è il protagonista, Peter e Alenka, Martin sono alcuni dei nomi dei giovani che guardano e filtrano la quotidianità per il lettore. «La famiglia di Jan è piena di speranze e ci racconterà Lubiana e la Yugoslavia di quegli anni».

In copertina la fotografia di Tito, la stessa che i giovani vedono ogni giorno sui muri della scuola. La notizia della morte del Presidente, viene raccontata proprio attraverso lo sguardo di «occhi innocenti che non vedono cosa stava accadendo – approfondisce ancora Pregelj. Quando si ammalò Tito la Cia aveva già predisposto delle soluzioni. Gli adulti avevano paura».

«Tito ci guarda tutti. Tito ci guarda» dice il protagonista. «Tutto il libro è pervaso dal senso di controllo, dalla paura di essere ascoltati, dall’educazione a non esporsi. Ma i ragazzi a un certo punto diranno “che ci sentano”» anticipa ancora l’autore.

Attraverso la frattura tra le due famiglie, quella di Jan e Elvis si arriva a quella drammatica della Storia. «Negli anni Ottanta non davamo importanza alle differenze tra turchi e sloveni. Cercavamo di unirci con quello che avevamo in comune. Non era importante da dove provenivi ma chi eri e cosa potevi fare per gli altri».

Emblematico e intenso il discorso affidato dallo scrittore al padre di Jan: «La pace è come la porcellana può andare in mille pezzi…può frantumarsi in un’istante. E una volta che va in pezzi... chi li ritroverà e li rimetterà insieme? Nessuno. La Jugoslavia è una tazza di porcellana ai bordi di un tavolo. Se qualcuno. Per sfortuna o anche apposta, la urta, cade e finisce in pezzi. E se questo dovesse succedere, ho paura che con quei cocci ci taglieremo tutti».

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