Fleming, non solo “Via col Vento”

PORDENONE. È ricordato soprattutto per uno dei film di maggior successo della storia del cinema, Via col vento (1939), ma Victor Fleming si era affermato come regista già vent’anni prima e, sempre bene inserito nel sistema industriale cinematografico della Hollywood del periodo classico e apprezzato come regista esperto e rapido, aveva al suo attivo una quarantina di pellicole.
Questa edizione delle Giornate dedica a Fleming una significativa rassegna. Nato nel 1883, inizia la sua carriera a Hollywood come collaboratore di D. W. Griffith e assistente alle riprese con Allan Dwan, il quale lo presenta a Douglas Fairbanks, di cui diventa amico e operatore di fiducia.
Nel 1919 Fairbanks lo fa debuttare nella regia affidandogli un film da lui prodotto e interpretato, When the Clouds Roll By, una satira della psichiatria, piena di situazioni esilaranti e dal ritmo vivacissimo.
Sempre prodotto e interpretato dal dinamico Fairbanks e diretto da Fleming è The Mollycoddle (Un pulcino nella stoppa, 1921), una commedia ricca d’azione ambientata nel West.
Nel corso degli anni 20, lavorando per la Paramount, Victor Fleming si specializza nel western, di cui, nell'ambito del festival pordenonese, vengono proposti due film del 1923 tratti da romanzi del celebre scrittore Zane Gray: il leggendario To the Last Man, riapparso fortuitamente al Gosfilmofond di Mosca, con Richard Dix, Lois Wilson e Noah Beery, è basato su autentici fatti accaduti tra le montagne e i boschi dell’Arizona centrale (Tonto Basin), una lunga e sanguinosa faida tra allevatori di bovini e di pecore, il clan dei Graham e dei Tewkesbury, chiamata anche Pleasant Valley.
Le riprese sono del giovanissimo cino-americano James Wong Howe, che sarebbe diventato uno dei più apprezzati direttori della fotografia e vincitore di due Oscar. Dell'altro western, The Call of the Canyon, con lo stesso cast ed esterni in Arizona, sono sopravvissuti solo tre brevi frammenti.
Anche di un altro film di Fleming, The Way of the Flesh (Nel gorgo del peccato, 1927), primo film hollywoodiano dell'attore tedesco Emil Jannings, dramma psicologico ambientato nella comunità di tedeschi immigrati a Milwaukee, nel Wisconsin, rimane solo un piccolo frammento.
Del 1926 è Mantrap, una commedia dal ritmo brioso e vivace che contribuisce a fare di Clara Bow, nel ruolo di una provocante manicure, il sex-symbol degli anni ruggenti.
La rassegna dedicata a Fleming si conclude con The Wolf Song (La canzone dei lupi, 1929), interpretato da Gary Cooper nel ruolo di un cacciatore di pelli che, dopo aver sposato una bella e ricca messicana (Lupe Vélez), sente l'irresistibile richiamo della vita libera sulle montagne e nei boschi.
Tra i due attori nacque una relazione che durò circa due anni, finché Gary Cooper, esasperato dal carattere impulsivo e irruento dell'attrice messicana, la abbandonò. Nel 1944 la turbolenta vita di Lupe Vélez si concluse con un suicidio, all’età di 36 anni.
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