Filippo Triola finalista al premio Friuli Storia con “Il potere dell’orologio”

Il saggio, edito dal Mulino, è una ricostruzione del rapporto tra politica, la vita delle persone e la misura del tempo nel corso dei secoli

Valerio Marchi
La copertina del volume "L’orologio del potere" e lo storico Filippo Triola
La copertina del volume "L’orologio del potere" e lo storico Filippo Triola

Iniziamo con il saggio di Filippo Triola “L’orologio del potere. Stato e misura del tempo nell’Italia contemporanea 1749-1922” (il Mulino), la presentazione dei finalisti della XI edizione del Premio Friuli Storia. Gli altri due autori sono Fabio Todero e Sergio Luzzatto.

La terna è stata scelta fra 110 opere in gara. A decretare il vincitore sarà una giuria di 403 lettori, che voterà fino al 31 agosto. La cerimonia di premiazione è prevista a Udine il 26 ottobre. Il Premio è realizzato con il contributo di Regione Fvg, Fondazione Friuli, Banca di Udine, Comune di Udine e Poste Italiane.

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«Che cos’è il tempo? Se nessuno mi interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi mi interroga, non lo so»: Filippo Triola riporta all’inizio del suo libro questo celebre paradosso enunciato da Sant’Agostino, che esprime la polisemia della parola tempo.

Tuttavia, per quanto concettualizzazione e misurazione del tempo inevitabilmente s’intreccino, non dobbiamo aspettarci un approccio di tipo filosofico. L’autore, che ha altresì escluso di fare una storia delle idee sul tempo, si è posto domande come queste: «Come e perché la misurazione del tempo è divenuta oggetto di conflitto politico? Chi decide che ora è? Chi governa l’orario che deve valere per tutti?». Si tratta, dunque, di una ricostruzione di storia politica.

Fondata sulla concezione newtoniana di un tempo assoluto, oggettivo (che però si incrinerà già con Kant, e poi specialmente nel corso del Novecento, con le teorie della relatività ristretta e generale e con diverse ridefinizioni culturali del concetto di tempo), la scansione temporale divenuta burocratica e condivisa da tutti va colta quale parte dei processi di centralizzazione e potenziamento dell’apparato amministrativo dello Stato moderno, e di separazione tra sfera politica e religiosa.

Il tema, che tra Sette e Ottocento ha assunto un’importanza imprescindibile per gli Stati, riguarda dunque la facoltà di controllare il tempo pubblico, nel quadro dei dibattiti (non di rado polemici) svoltisi in ambito scientifico, tecnologico, sociale, religioso e anche economico, per l’interesse delle élite economiche a evitare la compresenza di sistemi difformi.

Non è facile, per noi, realizzare il fatto che «gli uomini e le donne che popolavano i diversi Stati della penisola italiana nel XVIII secolo vivevano un tempo locale, non unificato e in nessun caso un tempo nazionale o statale»: un «tempo incerto», insomma, in primis quello che deve valere per tutti. Ed è stata una vera e propria rivoluzione quella apportata dall’affermazione della «sovranità cronometrica» dello Stato, con «l’orario unificato» e «l’organizzazione globale dei fusi orari».

Il 20 novembre 1749 è l’anno in cui una riforma introdotta nel Granducato di Toscana inaugurò un nuovo percorso – figlio, peraltro, dello spirito riformatore che animava i dibattiti sui problemi dello Stato nella temperie illuminista –, portando l’inizio dell’anno civile dal 25 marzo al 1° gennaio e introducendo la numerazione delle ore sulla base di due cicli di 12 ore ciascuno, per sostituire l’«orologio italiano» (giornate di 24 ore, da un tramonto all’altro) con l’«orologio francese» (o «europeo»: due cicli di 12 ore, a partire dalla mezzanotte).

Il 1922, inizio del Ventennio, è invece l’anno in cui Mussolini non rinnovò l’«ora legale estiva», una prassi che dal 1916 aveva innescato accese proteste da parte soprattutto di illustri astronomi, di ambienti operai (emblematico fu lo “sciopero delle lancette” del 1920 a Torino, nel quadro del rovente “biennio rosso”, contro un orario ritenuto totalizzante) e di altre categorie di lavoratori.

Ricomparsa nella Seconda guerra mondiale, l’ora legale si è poi affermata in forma stabile nel 1966, sino alle più recenti discussioni che l’hanno riguardata.

All’interno un percorso secolare e discontinuo, e dei termini a quo e ad quem della sua ricerca, Triola analizza vari momenti-chiave: ad esempio, nell’Italia unita, i regi decreti del 22 settembre 1866 (sotto la Destra storica il Regno d’Italia fu il primo Stato europeo a varare una legge cronometrica nazionale) e del 1° novembre 1893 (promosso dal governo Giolitti), sino alla riforma costituzionale del 2001, che ha formalmente inserito la questione nella Costituzione (art. 117, comma r, secondo cui lo Stato ha legislazione esclusiva anche sulla determinazione del tempo).

Ma il 1922 è una data che si presta anche ad aprire una nuova pagina della ricerca. Come leggiamo nelle conclusioni dell’autore, infatti: «Gli sviluppi del Novecento sono un capitolo che attende ancora di essere illuminato».


L’autore Filippo Triola

Ricercatore in Storia contemporanea al Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, Filippo Triola è stato, fra le altre cose, Visiting Professor alla Freie Universität Berlin dal 2016 al 2018 e ricercatore ospite all’Universität Trier dal 2018 al 2019.

Il suo accurato lavoro, edito dal Mulino, sviluppa l’argomento, sinora sottovalutato, del tempo quale oggetto di conflitto politico nell’Italia contemporanea. Leggiamo: «Spostando di fatto avanti e indietro le lancette degli orologi per ragioni tutt’altro che scientifiche, la politica trasforma di continuo il tempo, incidendo così su una delle dimensioni fondamentali della nostra esistenza».

Con il Mulino, Triola ha già pubblicato nel 2021 “La conquista del futuro. Comunicazione politica e partiti socialisti in Italia e Germania tra Otto e Novecento (1890-1914)”. Segnaliamo inoltre, del 2017, “L’alleato naturale. I rapporti tra Italia e Germania Occidentale dopo la seconda guerra mondiale (1945-1955)” (Mondadori Education).

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