Disgelo Roma-Mosca: dalle fosse comuni finora 11 mila salme

Le notizie da Kirov accendono la speranza di altri ritrovamenti. La tenacia di Onorcaduti e i meriti di Gavazza e don Caneva

UDINE. All’indomani della dissoluzione dell’Urss, Roma e Mosca si accordarono per individuare i luoghi di sepoltura e rimpatriare i resti dei caduti italiani. In precedenza, invece, i sovietici si erano sempre rifiutati di fornire indicazioni su caduti e dispersi. «C’è stata una guerra, che cosa volete trovare? Non sappiamo nemmeno dove sono i nostri», diceva Krusciov.

Dei circa 230 mila soldati italiani in Russia, quasi la metà finirono uccisi o fatti prigionieri (e, in buona parte, morirono: o nelle spaventose marce del “Davaj” - “Avanti”, l’incitamento con cui i russi li incalzavano -, o nei campi).

Durante e dopo la Seconda guerra mondiale, i territori che facevano parte dell’Urss erano nel caos (e in buona sostanza sono tuttora, in vaste zone, enormi “cimiteri” colmi di milioni di vittime). I caduti venivano per lo più seppelliti (quando venivano seppelliti) dove capitava. In molti casi i registri sparirono.

A partire dal 1991, tuttavia, le ricerche hanno avuto una svolta positiva con l’intervento di Onorcaduti e della competente associazione commemorativa italo-sovietica “Memoriali militari”: lavori nei cimiteri, scavi nelle fosse, ricerche negli archivi (finalmente aperti), identificazioni e rimpatri di resti mortali…

Basilare è stata l’opera del generale Benito Gavazza, alpino, morto a Cormòns nel 2010: congedato nel 1989, fu nominato Commissario generale delle Onoranze ai caduti in guerra e incaricato del recupero delle spoglie dei caduti italiani sul fronte russo, conseguendo una Croce d’oro al merito dell’Esercito.

Dopo sfibranti contatti presso le autorità sovietiche, e grazie a complesse ricerche negli archivi di Stato di Mosca, riuscì infatti, superando molteplici ostacoli, a eseguire l’incarico con ottimi risultati.

I rimpatri delle salme (sinora poco più di 11 mila, giunte da Russia, Ucraina e Bielorussia) hanno avuto inizio nel 1991. Oltre tremila salme di soldati noti sono state consegnate ai parenti che ne hanno fatto richiesta, mentre le altre sono state sistemate nel luogo a ciò deputato, a Cargnacco: in tutto 8 mila 648 fra militi noti (520), noti non identificati e ignoti.

Si tratta di deceduti nel primo anno della Campagna di Russia, sino all’autunno del 1942, giacché dopo l’offensiva sovietica non si seppelliva più, né si poteva farlo ritirandosi.

In alcuni periodi i numeri dei rimpatri sono elevati: oltre mille all’anno, a esempio, fra il 1992 e il 1994, o nel 2001; in altri anni alcune centinaia o decine.

I trasporti, frutto di un duro impegno, si sono svolti di norma nel periodo settembre-ottobre, prima del gelo intenso. Quando si è potuto operare nei cimiteri, soprattutto nei primi anni ’90, il lavoro è stato meno difficile e più proficuo rispetto a quello delle fosse comuni, alquanto duro e ingrato (nel 1995, solo dalla fossa Nova Postojalovka - una delle più grandi - sono stati tratti con uno sforzo notevole 590 caduti, di cui solo alcuni identificati).

Il biennio 2008-09 ha segnato un’interruzione; quindi, dopo una ripresa nel 2010, si è avuta una nuova stasi fino a oggi (salvo casi di salme consegnate da non italiani, in particolare tedeschi; ovviamente gli italiani agiscono reciprocamente).

Circa il Tempio Sacrario di Cargnacco (attivo dal 1955), ricordiamo don Carlo Caneva, cappellano militare e reduce di Grecia e di Russia, Medaglia d’argento al Valor Militare, morto nel 1992: non solo si prodigò per istituirlo e per dare un sostegno morale ai parenti dei soldati scomparsi, ma, alla fine del 1990, riuscì anche a far giungere dalla Russia - con l’aiuto, fra gli altri, del sunnominato Gavazza - le spoglie di un nostro caduto ignoto esumato nella zona di Filonovo.

In Italia è l’unico caso, oltre a Roma, in cui si rendono onori al Milite ignoto.

Nei nostri cuori - parafrasando Ungaretti - nessuna croce deve mancare.

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