Dibattito sul postumano: «Intelligenza artificiale robotica e nanotecnologia possono limitare l’uomo»

Il mondo digitale e i nuovi rischi di ibridazione al centro del dibattito degli eventi di Mimesis. Luca Grion affronta il tema del postumano: «Una vita priva di ostacoli pone nuove questioni»
Mario Brandolin

Il mondo del digitale sembra ormai farla quasi da padrone nelle nostre esistenze spesso anche a costo di pesanti condizionamenti.

Interrogarsi sui limiti ma anche sulle opportunità e su quanto di ancora imprevisto comporta questa invasione, diventa sempre più urgente e necessario proprio al fine di salvaguardare l’umanità del nostro stare al mondo.

Il Festival di Filosofia Mimesis, quest’anno dedicato alla trasformazione digitale, si propone proprio questo, e non a caso il primo appuntamento, giovedì 27 ottobre alle 11 al Liceo Einstein di Cervignano si intitola “Chi ha paura del postumano? Etica e digitale”, affidato a un colloquio tra i professori Floriana Ferro e Luca Grion.

Sui temi dell’incontro abbiamo posto alcune domande al professor Grion, docente di filosofia morale all’Università di Udine e presidente dell’Istituto Jacques Maritain di Trieste, nonché direttore della Spes (Scuola di politica ed etica sociale) promossa dall’Arcidiocesi di Udine. A cominciare da quel postumano del titolo.

«All’interno della riflessione morale contemporanea, il postumano indica una serie di scenari che mettono in questione l’immagine tradizionale di uomo e ne indicano il superamento. Perché lo sviluppo tumultuoso delle tecnologie, in particolare di quelle dette emergenti – l’intelligenza artificiale, la robotica, la nanotecnologia, portano ad un’ibridazione sempre più forte del corpo biologico con innovazioni tecnologiche.

Ed alcuni filosofi cominciano a immaginare che quello che finora era materia per romanzi di fantascienza possa effettivamente essere il futuro dell’uomo» .

E questo cosa comporta?

«Ad esempio, rispetto alla medicina: noi siamo abituati a pensare che suo compito sia quello ripristinate le normali funzionalità del corpo colpito da una malattia o ferito in un incidente, ebbene adesso si comincia a pensare a una malattia che potenzia le capacità dell’uomo e lo porta a far cose che normalmente non sarebbe in grado di fare. Oppure aumentare le capacità prestative di un corpo attraverso metodiche come il doping che portano a superarle all’interno del range di normalità per un uomo».

Quale allora il fulcro del problema nel rapporto tra uomo e tecnica?

«Bisogna capire se la tecnica ha lo scopo di permettere all’umano di fiorire ma rimanere se stesso con i propri limiti fragilità, oppure se la tecnica può consegnare all’uomo un futuro nel quale la vita sia priva di ostacoli e questo apre una serie di questioni»

Quali? “

«Una riguarda la privacy ad esempio: se continueremo cioè a vederla come un valore, se continueremo a dare per scontato la condivisione dei dati, i famosi data base che poi sono oggetto di profitto, con tutto quello che comporta in fatto di forme di controllo molto più sofisticate, e quindi considerarlo come il prezzo per accedere a una serie di servizi»,

Ma c’è poi un problema, non da poco, legato al mondo del lavoro e alle sue trasformazioni.

«Anche qui le posizioni sono differenziate: per molti autori queste trasformazioni saranno fonte di disoccupazione, con le macchine che si sostituiranno all’uomo; altri invece parlano semplicemente di evoluzione».

Da un punto di vista morale cosa implica?

«Implica la domanda su come si considera e si vede il lavoro. Domanda che rivolta soprattutto ai giovani chiede loro di interrogarsi se sia meglio o auspicabile un futuro senza lavoro, perché lo si considera una condanna. O non invece chiedersi come può il lavoro, in questo scenario profondamente mutato, essere ancora la dimensione nella quale l’uomo si realizza, da qui il problema di come si può umanizzare il lavoro. Perché l’uomo è naturalmente tecnico, fin da quando ha avuto il fuoco da Prometeo e ha sviluppato la civiltà, con la tecnica lo aiuta a stare al mondo meglio. Il problema è quando alla tecnica chiediamo di risolvere ogni nostro problema, anche quello legato alla nostra finitudine e inquietudine. La tecnica però può anche essere fonte di grande disumanizzazione, come vediamo quotidianamente».

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