De Maglio ricorda: Io e Eduardo

Il direttore della Nico Pepe affiancò il maestro nell’ultima regia prima di morire. «Gli scrissi tre lettere e lui mi rispose sempre finché disse: “Ti aspetto a Roma”. Mi insegnò il teatro e la vita»

Fine ottobre. Alla Nico Pepe si scremano gli aspiranti allievi. Duecento domande quest’anno, su per giù. Di ragazzi da plasmare per un triennio ne resteranno sedici. Il direttore dell’Accademia De Maglio parla sottovoce al telefono, è giusto giusto dentro un provino live.

«Claudio, la nostra proposta è di quelle irrefutabili e non ha uno stampo mafioso, come potrebbe sembrare dai toni. Dunque, trent’anni fa - il 31 ottobre 1984 - moriva Eduardo. Ora. Conosciamo la storia, gli ultimi mesi al fianco del maestro. Chi meglio di lei... le va di riaprire il baule?».

Gli attori conservano tutto. Affastellano carta ed emozioni, foto e costumi, il teatro è povero, non si butta via alcunché. Figuriamoci le reliquie di De Filippo.

Eccoci qua, siamo nel 1981. «Al festival di Muggia - inizia a riavvolgere De Maglio - l’organizzatore, se non ricordo male Furio Fo, il fratello di Dario, invitò tra i tanti anche il drammaturgo napoletano, che accettò. Noi del Teatro all’Aria presentammo Il circo sogni, uno strano miscuglio circense dedicato ad Antonio Franconi, l’udinese ammaestratore di piccioni che reinventò lo spettacolo sotto il tendone. Qualunque cosa avrei fatto, allora, per conoscere Eduardo, davvero qualsiasi. Persino scrivergli. Che poi uno dice, tanto a che serve? Non sai mai se gli dei ci leggono, non ci leggono, ci cestinano, chissà. Gli scrissi. Con l’Olivetti Lettera 32. Già l’indirizzo suo mi piaceva: via Aquileia 16/18, Roma. Mi rispose: “Adesso non è tempo, si faccia risentire in Primavera”».

Claudio nasce e cresce teatrante. Il Palio studentesco ne sviscera le qualità nei primi Settanta, è un talentuso. Il Teatro all’Aria è un gruppo di saltimbanchi che lo stesso De Maglio guiderà per le piazze d’Italia, tenuto d’occhio da Maurizio Scaparro, il numero uno della Biennale degli Ottanta, che posa uno sguardo curioso su quegli udinesi un po’ strambi.

Inesorabile come la goccia del lavandino che perde, De Maglio ai primi rintocchi della Primavera sfoderò la Lettera 32, spedendo la missiva numero due in via Aquileia 16/18, Roma. «Ancora un po’ di pazienza - spiegò Eduardo - magari il prossimo autunno...».

Non mollare è la prerogativa dei duri. In verità Claudio un duro non lo è proprio, ma un testardo sì. «Così il 21 settembre tornai alla carica. E finalmente....: “L’aspetto a casa mia”, passai e ripassai le ultime righe fino a consumarle».

La scorzetta di limone. «Titolava così una pièce eduardiana. Ero in platea quella sera al Quirino, pochi mesi prima di conoscerlo. Alla fine il pubblico gli chiese un bis e lui scelse una poesia. Mancava un passo alla fine quando De Filippo s’inceppò. Guardò la platea sconsolato, chiedendo pietà. Non stava bene. Tutti scattarono in piedi applaudendolo. Scesero pure lacrime. La sera successiva tornai a rivederlo. Be’, Eduardo rifece esattamente la stessa identica sceneggiata della poesia. Giocava con la sua realtà, non ci voleva fregare, detto francamente. Questo è teatro, signori».

Chi è più felice di me. Claudio De Maglio è l’assistente di Eduardo De Filippo. La commedia ha un’insegna che ben rappresenta la gioia del friulano (adottato friulano, CDM batte bandiera pugliese di Gallipoli) per aver conquistato il posto desiderato da quando calcava le tavolacce del Palamostre.

«Gran compagnia quella, ognuno rispettava le dinamiche secche e irrinunciabili di un allestimento perfetto. Bravura, puntualità, memoria. Io osservavo, ascoltavo, appuntavo. Uomo di grande generosità, Eduardo. Altro che tirchio, ad ascoltare le dicerie. Mi rivelò i segreti della drammaturgia, mi raccontò di Napoli milionaria, buttata giù in sei giorni o di quando lo informarono della morte di sua sorella Titina nel bel mezzo di un secondo atto. “Continuai, non potevo comportarmi diversamente”, confidò. Ancora adesso, quando compongo, è sempre il suo schema a guidarmi».

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