Dalle epidemie bibliche fino al coronvirus: la cattiva fama che perseguita topi e pipistrelli

La curiosità storica: quando fu messa in vendita nessuno volle acquistare la “Contea” di Pantianicco a causa del nome

“In nomen omen” dicevano i Latini e nel nome c’è dunque il destino in questo caso nato dalle molteplici interazioni che l’uomo e gli animali hanno avuto e che continuano ad avere. Animali-simbolo che potevano sollecitare nell’uomo l’idea di forza spirituale quando addirittura non rivestivano un significato magico o taumaturgico.

Questo non è avvenuto nel tempo sia per quanto riguarda il topo o peggio per il pipistrello, origine pare dell’attuale pandemia del coronavirus. Se il topo compare già nella Bibbia come animale “sinistro” che seminerà mortalità nella regione di Azoto e cosi la pantegana diveniva il primo terribile “untore”. Non era ancora cosi per il pipistrello anche se nella tradizione popolare vederne o esserne toccati portava sfortuna; se volavano accanto agli occhi potevano accecare e se si attaccavano ai capelli bisognava rasarsi.

Le pandemie storiche nascevano soprattutto dalla stretta relazione esistente tra queste e i ratti che aggredivano e distruggevano intere popolazioni, da Plinio, Aristotele e Erodoto.

Anche Tucidide peraltro li cita per la strage avvenuta in Attica tra il 430 e 425 a.C. Torme di “rattus rattus” e del suo cugino il “rattus alessandrinus” portarono dall’Oriente la peste in Italia al tempo dell’Impero e che imperverserà poi nei secoli successivi sino ai topi neri giunti con le crociate.

E l’Italia crocevia di commerci e rapporti internazionali diventò uno dei centri più colpiti e in particolare Venezia. Nel 1347 da Costantinopoli si estese in tutt’Europa e il Boccaccio ne tracciò un vivido quadro nell’introduzione del “Decamerone”.

Quelle poi di manzoniana memoria del 1630 grazie alle truppe imperiali che avrebbero preso Mantova.

Ma il problema si trascinò anche nel secolo scorso e questo insopportabile animale continua se non nella storia, nella cronaca a lasciare terribili tracce di sé.

Il pipistrello, sorto oggi alla cronaca, era come detto simbolo negativo usato dallo stesso Duerer nella celebre incisione della “Melencolia” (1514). Nel cielo, contro un sole annerito come in eclisse, si staglia un pipistrello recante la scritta che da il titolo all’opera. E sulle ali nere di un pipistrello l’orrenda peste semina la morte nella tela di Arnold Boecklin (1898).

Questi animali sono peraltro esclusi nel mondo araldico, tant’è che a nessuno mai venne in mente di porre nell’arma una pantegana o un pipistrello. In Friuli, con la soppressione del Monastero di Aquileia, venne posta in vendita la “Contea” di Pantianicco, bella località ora celebre per i suoi meleti; ma non si presentò nessuno all’asta, nonostante la “fame” di titoli. Nessuno infatti voleva essere neoconte della località che implicitamente denunciava una chiara arma parlante.

Si sono sempre privilegiati altri animali, come ad esempio gli uccelli, dal profondo valore simbolico che significava integrità e forieri di sogni profetici.

Chissà quando pantegane e pipistrelli si riscatteranno?


 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto