Da ansia fino a zelo, ecco l’alfabeto sentimentale della pandemia scritto dagli studenti delle superiori

I ragazzi di una classe delle superiori raccontano come vivono queste giornate. Quella che emerge è una sorta di mappa emotiva del loro universo interiore

UDINE. La scuola non si è mai fermata. Mi piacerebbe che questo fosse un punto chiaro. Ma le lezioni in presenza, alle Superiori, sono riprese solo da un paio di settimane.

Incontrarsi dal vivo, guardarsi, annotare dettagli e trasformazioni che rinviano a evoluzioni non banali: tutto si è trasformato immediatamente, fin dalla prima lezione, in un’immersione nella normalità. Eppure ci siamo osservati con sguardo nuovo e più attento, e con sguardo nuovo e più attento abbiamo scrutato gli spazi che un tempo ci sembravano scontati: la normalità di un’aula e dei suoi banchi, il raccordo dei corridoi con le presenze umane dimezzate, la strozzatura delle scale da percorrere, in salita o in discesa, secondo precise direzioni.

Ed eccoli lì, ai loro banchi, con espressioni vivissime anche dietro mascherine di ordinanza. Eccoli lì, dal vivo, i “miei” ragazzi.

Una si è tinta unghie e capelli di un nero brillante e corvino, dichiarandosi pronta alla svolta con il lessico di corpo e abbigliamento. E vai che si va col nuovo look.

Un’altra ha un sorriso che le sfugge dai margini della mascherina, e l’eyeliner di un viola coraggioso, che prima non le avevo visto mai.

Uno rivela sopra labbro e mento una peluria intimidita che potrebbe anche estendersi alle guance, ambendo a diventare barba vera.

Tre o quattro non fanno che ridere, come a ripassare con passione il suono di risate condivise.

Altri due hanno preso a scambiarsi occhiate tenerelle e languidose, tipo “Amor che nella mente mi ragiona”. Verrà primavera, penso io, sorridendo al buio di ovatta della mia ffp2. Verrà primavera, mi ripeto: i feromoni riprenderanno in fretta il loro trekking primordiale.

E se deve fiorire qualcosa, la prossima stagione fiorirà.

Ma è stato solo a fine mattinata del primo giorno di ripresa, che è arrivata l’ultima sorpresa.

Perché anziché dematerializzarsi come di consueto alla velocità della luce, studenti e studentesse si sono avviati lentamente, diluendo il piacere di parlare: le ragazze serrate come sempre in falangi oplitiche compatte, i ragazzi in postazioni sparse e in retrovie irrequiete, scambiandosi pacche sulle spalle e strisciando gli zaini sul muro.

E persino lo struscio dello zaino mi è sembrato, a modo suo, un atto d’amore per la fisicità della scuola, per le vecchie pareti ritrovate, per gli spazi conosciuti e familiari che ispirano collettività e marcano appartenza a un solo microcosmo condiviso.

E d’un tratto ho ripensato all’ultimo testo creativo elaborato dai miei studenti: l’Alfabeto Sentimentale al tempo del Covid. E’ così che l’abbiamo chiamato.

Ed è stata una nuova occasione per esplorare se stessi, anche dietro gli schermi del pc, e poi per parlarne un po’ insieme.

Per ogni lettera dell’Abbicì, dalla A fino alla Z, ciascuno ha proposto ai compagni un’emozione o un concetto chiave, sottoponendoli al voto dalla classe. Così ha preso forma, poco a poco, una sorta di sillabario composto da lemmi interiori, corredati da diversi corollari: una citazione, un brano musicale, un film o un’immagine grafica associabili a ogni emozione.

Perché vi racconto tutto questo? Perché nei giorni più foschi di un forzato e parziale isolamento, i nostri ragazzi hanno dato vita a una mappa emotivo-sentimentale del loro universo interiore, condividendo e poi mettendo a nudo inquietudini e aspirazioni, fragilità e contraddizioni. Quali sono le tappe della mappa? Quali le stazioni dei pensieri, a quindici o sedici anni? Proporrei di percorrerle insieme.

A: ansia.

B: bellezza.

C: creatività

D: dolore.

E: empatia.

F: fratellanza

G: gioia

I: ira

L : leggerezza

M: malinconia

N: nostalgia

O: odio

P: paura

Q: quiete

R: rimpianto

S: speranza

T: tolleranza

U: umiltà

V: vendetta

Z: zelo

Il percorso tratteggia suggestioni che sfiorano sentimenti forti, come l’odio o la vendetta, ma predominano le assenze, i vuoti, i dubbi: la malinconia, i rimpianti, la paura. Tra le definizioni elaborate o citate dai ragazzi, ne riporterò solo qualcuna. L’ansia, ormai intergenerazionale, è “una vertigine della libertà”, ma “trascina a fondo il nostro presente”. E soprattutto “ti soffoca, ti appesantisce, ti esplode nei pensieri, ti imprigiona in un tunnel buio di cui non vedi la fine. “

Agli antipodi, la leggerezza. E per il dono della leggerezza, sono state privilegiate le parole usate da Calvino: “planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

Per la malinconia, il pensiero di Fitzgerald unito a una riflessione: la malinconia è intuire la bellezza nascosta nel tempo e nelle cose, ma unirla alla consapevolezza che il loro destino è fugage, il loro destino precario. Film associato alla leggerezza? L’attimo fuggente. Musica? Torna a casa, dei Maneskine.

Questi, fra molti altri, i pensieri dei nostri ragazzi.

Eppure è sulla speranza, che sembrano essersi più interrogati. Tante, le loro citazioni. Fra le tante, ne scelgo una sola. La fonte è ambiziosa: Lucio Anneo Seneca. Seneca il Giovane.

“Anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli la speranza.”

E in fondo sta proprio tutto qui, il senso di questo mio scritto. Puntare sui nostri ragazzi – sulla loro creatività nascosta, sulla loro spontanea resilienza – è garanzia di speranza nel futuro. Investimento in un potenziale che non si nutre di inutili polemiche, come spesso tende a fare il mondo adulto, ma punta sul mettersi in gioco anche nei momenti più difficili, anche in tempi ancora malati.

Allora, come ha scritto un mio studente, il problema sarà solo un intermezzo di sfide fra due puntate di serenità. —

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