Crainz e la doppia sfida a èStoria: essere e diventare italiani

PORDENONE. Benché il parlar sia – forse – indarno, come diceva messer Petrarca un po’ di secoli fa, èStoria propone quale tema per l’edizione 2017 il titolo “Italia mia!”. L’argomento è stimolante, elusivo, fonte di contrapposizioni e anche di contraddizioni intrinseche. Ma, soprattutto, è d’attualità in un periodo di spaesamento quale il presente.
La grande kermesse storica goriziana si svolgerà, come di consueto, a fine maggio, ma sarà preceduta da un’anteprima nella Destra Tagliamento: èStoria a Teatro, ampliamento della sinergia già attuata lo scorso anno con Pordenonelegge.
I quattro incontri si svolgeranno al “Verdi” alle 11, in altrettante domeniche, scaglionate nei mesi che precedono la manifestazione principale (il 22 gennaio, il 26 febbraio, il 26 marzo e il 23 aprile) e traguarderanno l’argomento “Essere italiani: forme, invenzioni e prospettive di un’identità” secondo ottiche diverse.
L’ingresso è libero, ma occorre ritirare i biglietti per i posti numerati in biglietteria (dal lunedì al venerdì 14.30-19, e il sabato 10-12 e 16-19, oltre al giorno stesso dell’evento a partire dalle 10).
L’appuntamento di domenica prossima “Storia e identità d’Italia” rifletterà sui momenti, sui modi e sui personaggi attraverso i quali si è formata la concezione di Italia e di italianità. Concezione che in realtà è costruzione, ammonisce Guido Crainz (che converserà con altri due storici, Marcello Veneziani e Armando Torno).
«In merito farò un po’ l’avvocato del diavolo, smontando certezze che spesso sono semplici luoghi comuni. In realtà l’identità è qualcosa di inventato e tutt’altro che immutabile, che non di rado viene addotto come motivo di autogiustificazione: noi italiani siamo sempre stati così...», nota lo studioso friulano.
«C’è poi da dire che anche nelle accezioni più alte – non parlo di quelle basse, che pure sono tante - il tema ha l’inevitabile limite di entrare nella dialettica politica».
L’esempio riportato è quello di Vincenzo Gioberti e del suo saggio “Del primato morale e civile degli italiani”: «Nel sostenere questa superiorità l’abate trentino avverte, proprio nell’incipit del saggio, che “gli italiani non sono un popolo effettivo”, insomma il popolo italiano non sussiste.
Cosa alquanto contraddittoria, però funzionale alla sua visione di un’Italia unita, ma in confederazione senza la partecipazione popolare propugnata da Mazzini e Garibaldi».
Quella di Crainz non è un’autocritica tout court («Quella al limite del masochismo per cui piace tanto lo studioso che parla male degli italiani»), perché c’è parecchio da salvare.
«L’analisi negativa leopardiana del “Discorso sopra lo stato presente del costume degli italiani”, molto specifica e riguardante la crisi tra la fine dell’ancient regime e l’inizio del processo unitario, non può essere riproposta nel 2000», dice.
«A inizio ’800 era giusto denunciare l’assenza di una classe dirigente, poi però le cose sono mutate. Certo, abbiamo avuto periodi bui, ma anche momenti di grande significato e valore, come il Risorgimento e la Resistenza. Una capacità di ricostruzione postbellica che si è esplicata attraverso una rete di amministratori grandi e piccoli. Un movimento sindacale e un partito di sinistra che sono stati i più grandi d’Europa».
Di fronte alla prospettiva di un risveglio e di un ricompattamento identitario favorito dalle paure verso un nemico esterno, Crainz chiarisce che il problema è più complesso. «La verità è che si ripropone, in qualche modo, il problema studiato da Giorgio Bocca negli anni ’60, quando, nell’Italia del boom, si verificò un massiccio afflusso di meridionali nel Settentrione.
La sfida di “fabbricare” i nuovi italiani è ardua, ma sono convinto che il processo di integrazione molecolare proceda meglio di quanto si possa credere ascoltando certe urla. E penso che sia sottovalutato lo straordinario lavoro svolto dagli insegnanti, specie elementari».
Come si formeranno i nuovi italiani, come sarà la percezione dell’appartenenza è difficile dirlo, anche se è inevitabile che i nuovi arrivati influiscano, conclude Crainz. «Ce lo ha ricordato il recente saggio di Fabio Finotti su “L’invenzione della patria”, con il citare l’Eneide: il mito fondativo del nostro Paese si basa su Enea, profugo scampato a una guerra, arrivato via mare».
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