Alle Giornate della Luce arriva Milena Vukotic: «Sono i personaggi a scegliere me»

La Pina di Fantozzi sarà al Miotto di Spilimbergo l’11 giugno alle 21. «Con Villaggio un incontro casuale, mi chiamò e disse di volermi per il ruolo»

Gian Paolo Polesini
Milena Vukotic ospite al Miotto di Spilimbergo delle Giornate della luce
Milena Vukotic ospite al Miotto di Spilimbergo delle Giornate della luce

Un padre buono a nulla, ma gran sognatore, e il figlioletto in giacca blu un po’ spaesato nell’estate del 1964 improvvisano una giornata assieme guardati a vista da Dino Risi dietro una cinepresa. “Il giovedì”, con Walter Chiari, è una commedia amara che al tempo non ipnotizzò i botteghini e tantomeno la critica severa dei Sessanta, eppure agli occhi della contemporaneità si rivela essere un bianco e nero di una dolcezza ormai introvabile.

Era appena arrivata a Roma dalla Francia e così Milena Vukotic, ballerina di Roland Petit, vide casualmente “La strada” di Fellini e decise che il cinema sarebbe diventato affar suo. Una ragazza minuta e determinata. Ottenne una piccola parte ne “Il giovedì”, la vicina di casa della mamma di Dino/Chiari, e il talento la aiutò a trasformare la sua nuova esistenza italiana.

E proprio “Il giovedì”, fresco di restauro a cura di Csc-Cineteca nazionale, sarà oggetto di studio mercoledì 11 giugno, alle 21, al Miotto di Spilimbergo per le “Giornate della Luce”, a cura di Gloria De Antoni e di Donato Guerra: Milena Vukotic, classe 1935, sarà l’ospite d’onore, come pure Roberto Ciccolini (il bimbo Robertino). Entrambi saliranno sul palco con Steve Della Casa.

Signora Vukotic, lei aveva un futuro come “étoile” a Parigi, dopo aver vissuto anche a Londra e girato il globo sulle punte: perché si trasferì a Roma?

«Raggiunsi la mamma. In realtà ha ragione, la carriera di ballerina avrebbe potuto esplodere visto che la mia compagnia di ballo sostituì quella russa di Diaghilev, un autentico fuoriclasse dell’epoca. Avevamo i fondali disegnati da Salvator Dalì e la musica di Stravinskij, eppure scesi nella capitale italiana con ben poche speranze, se non sorrette dall’esperienza sui palcoscenici più difficili del mondo».

Che allora contava, l’esperienza intendo. E la caratura degli artisti del Novecento conferma la necessità di una severa scuola prima di qualunque debutto.

«Io non avevo il “phisique du role” richiesto alle signorine della metà del secolo scorso, va detto. Andavano le maggiorate e, quindi, entrai timida nel cinematografo aiutata da un’amica di mia madre che mi fece avere il permesso per assistere alle lezioni di recitazione all’Accademia d’arte drammatica. Emerse da subito la mia predisposizione per i caratteri, ovvero per tutti quei personaggi che hanno un timbro deciso».

Mi scusi, ma lei con quale criterio decide questo sì e questo no?

«Credo siano i personaggi a scegliere me. È sempre successo così».

E arrivò Federico Fellini.

«Qualcuno della Lux Film, credo, mi fece avere una lettera di referenza e mi presentai al cospetto del maestro in un appartamento di via della Croce. Lui fu talmente gentile e accogliente che mi dimenticai la busta nella borsetta. Non servì. Ebbi una parte nel suo “Giulietta degli spiriti”. Per tutta la vita restammo ottimi amici».

Quindi tornò a Parigi perché c’era un altro grande regista che l’aspettava: Luis Buñuel con “Il Fascino discreto della borghesia”.

«Un uomo assai rigoroso. Ricordo che provava tantissimo e faceva un ciak soltanto. Prima di partire chiamai Federico per dargli la notizia. Lui fu felice e mi disse: “Salutamelo tanto, ricordati. Senti Milena, ma quanti anni Buñuel?”. Portai i saluti a Luis il quale ringraziò tantissimo e mi chiese: “Ma quanti anni ha Federico?”.

Lei è stata per il grande schermo la moglie di Tognazzi in “Amici miei” (la signora Mascetti) la Pina, moglie di Fantozzi ed Enrica, la moglie di Nonno Libero in “Un medico in famiglia” per Raiuno.

«Le racconto subito l’episodio più divertente. Io, mio marito, Federico Fellini e Giulietta Masina accettammo l’invito a colazione di Paolo Villaggio. Quando la governante di casa aprì la porta e mi vide, urlò: “Signora, è arrivata la moglie di suo marito!!”. Ridemmo tutti, ovviamente. Con Tognazzi, parlando di “Amici miei”, già lavorai in un film di Lattuada, “Venga a prendere il caffè… da noi”. Mi trovai benissimo con lui come sul set di Monicelli, che sostituì Germi, che morì pochi giorni dopo le prime scene. Divenni Pina per un incontro casuale con Villaggio in Rai. “Ti chiamerò, mi avvertì. E mi chiamò sul serio invitandomi a fare due chiacchiere. “Mi piacerebbe tu facessi la Pina, ma non farti illusioni, la bellezza qui è bandita”. Ne ho fatti tanti di “Fantozzi” con grandissimo piacere e divertimento. “Un medico in famiglia” è un’altra parte della mia carriera alla quale sono molto affezionata. Tant’è che si era parlato spesso di un ritorno, ma dalla Rai nessuno si è fatto più sentire».

Più di cento film, tanta tv e moltissima prosa.

«In Tv cominciai alla grande con “Il giornalino di Gian Burrasca” di Lina Wertmüller. Il teatro lo faccio ancora. Sarò al Parenti di Milano a fine anno con “Lezioni d’amore” di André Ruth Shammah. Si parla di eutanasia, ma con molta leggerezza». 

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