Addio al batterista Stefano D’Orazio: "Quella sera in Friuli quando lasciò i Pooh"

L’ultimo successo “Rinascerò, Rinascerai”, omaggio a Bergamo colpita dal Covid. Gli ex compagni: «Amici per sempre» 

UDINE. «Siamo nati per combattere la sorte, ma ogni volta abbiamo sempre vinto noi». Aveva scritto così Stefano D’Orazio nel suo ultimo grande successo “Rinascerò, Rinascerai”, il brano composto assieme a Roby Facchinetti in omaggio alla città di Bergamo duramente colpita dal Covid-19 la scorsa primavera. Oggi che il batterista dei Pooh se n’è andato a 72 anni proprio a causa del coronavirus, quelle parole suonano atrocemente beffarde.

No, questa volta Stefano non ha vinto dopo averlo fatto per una vita, prima su un palcoscenico con gli altri suoi «amici per sempre», Roby Facchinetti, Dodi Battaglia e Red Canzian, e poi compositore di testi per i musical, da sempre una sua grande passione.

D’Orazio ha preso il suo passaporto per le stelle la sera di vneerdì 6 novembre. Era ricoverato nella struttura Columbus del Policlinico Gemelli di Roma da una settimana e come hanno riferito i suoi compagni di musica è stato tutto terribilmente improvviso. «Sono devastato – le parole di Red Canzian –. È assurdo quello che stiamo vivendo. La velocità è stata disarmante, la morte dolorosa e il Covid hanno reso tutto più crudele, ci hanno tolto la possibilità di stare con lui, di stargli vicino, di tenergli la mano. È una malattia bastarda, che aggiunge crudeltà al dolore. Stefano era entrato in ospedale una settimana fa con questa febbre improvvisa. Ci hanno detto che era il Covid. Il virus gli aveva già preso i polmoni, e poi è tutto precipitato».

Gli fa eco il chitarrista Dodi Battaglia: «Era il fratello che io, figlio unico, non avevo. Si era infettato con questo virus, ma come tante altre persone. Fino a poche ore fa aspettavo un messaggio di aggiornamento e invece mi è arrivata questa terribile mazzata».

Stefano D’Orazio era nato a Roma il 12 settembre del 1948. Entrò a far parte dei Pooh nel 1971 prendendo il posto alla batteria di quel Valerio Negrini, scomparso nel 2013 e che assieme a lui ha scritto i testi di tutte le canzoni dei Pooh. Una macchina perfetta nella quale ogni componente aveva un ruolo ben preciso. Stefano curava l’aspetto economico della band («i primi anni più che un gruppo di fama eravamo un gruppo di fame internazionale», era una delle sue battute più ricorrenti) poi sul palco, oltre a suonare la batteria ci metteva quell’ironia tipicamente romana nelle pause tra una serie di brani e l’altra che ne facevano di lui una sorta di cabarettista.

Fino al 2017 era stato l’unico Pooh a non sposarsi. Si era detto sempre poco propenso al matrimonio, poi tre anni fa, il giorno del suo compleanno, ecco la cerimonia con Tiziana Giardoni. Un anno prima i Pooh si erano definitivamente sciolti in coincidenza del loro cinquantennale. Di fatto era stato D’Orazio sette anni prima a dare il via a questa operazione.

«Sono al capolinea – disse nella tournée dell’estate del 2009 che vide i Pooh presentarsi per l’ultima volta al completo in Friuli a Villa Manin il 30 luglio –. Sto per scendere dalla grande astronave luminescente e fortunata che per tanti anni mi ha trasportato oltre le mie aspettative in una lunga avventura indimenticabile, spesso faticosa, quasi sempre straordinaria. Grazie, io scendo qui». Proprio quella sua scelta oggi viene rivalutata anche dai suoi compagni di viaggio. «Stefano era una persona per bene, onesta prima di tutto con se stessa».

I Pooh sono andati avanti senza di lui per poi richiamarlo, assieme a Riccardo Fogli in occasione della reunion del cinquantennale. Una mega festa durata mesi con una tournée che inizialmente prevedeva due concenti a San Siro e uno all’Olimpico e che poi si è protratta per tutto il 2016 su richiesta dei fan smaniosi si sentire dal vivo il più a lungo possibile la loro musica.

Perché i Pooh, erano sì animali da palcoscenico (altrimenti non fai 50 anni di carriera) ma erano anche persone che instauravano un rapporto diretto con le persone che li seguivano. A una coppia che, in uno degli ultimi concerti, li definì la colonna sonora della loro famiglia risposero così: «La prossima volta portate anche i vostri figli, per i Pooh sarebbe un onore conoscerli».

Non avevano bisogno di queste cose per guadagnare stima e considerazione. Erano (sono) fatti così e basta. E per chi li ha conosciuti, così saranno ricordati ancor di più ora che uno di loro se n’è andato e che il sipario si chiude. I Pooh da ieri non ci sono davvero più, ma la loro musica no, quella non la fermerà nessuno. Ciao Stefano.




 

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