Zamberletti: «Si è avverato il sogno friulano»

Gli occhi sono quelli di un uomo innamorato del Friuli, di una terra che gli deve molto, forse tutto, e che ieri è tornato ad ammirare da una prospettiva inedita anche a lui, che pure di Gemona e dintorni conosce ogni angolo.
L’ex commissario alla ricostruzione del Friuli terremotato, Giuseppe Zamberletti, si è inerpicato lungo l’erta salita che da via Bini porta in castello per ammirare i lavori di ricostruzione del maniero ormai giunti al capolinea. Che si potesse arrivare a tanto, nemmeno lui lo credeva 39 anni fa, quando fu inviato dal Governo italiano a gestire l’immane tragedia che la notte del 6 maggio 1976 si abbatté sui friulani. Lo ha svelato ieri, a pochi fortunati. Seduto su una panchina in cima al colle del castello, la schiena posata alla parete delle carceri ricostruite. Circondato da amministratori gemonesi di oggi e di ieri.
Il segreto del successo? «Il cemento politico che unì le forze friulane e nazionali. Quella fu la vera chiave» ha sentenziato Zamberletti, ammettendo che il successo non era affatto scontato.
«Ricordo - ha proseguito - il giorno di Natale del 1976. In un albergo a Lignano dove era alloggiata assieme ad altri sfollati, incontrai una signora anziana che mi propose in dono un bellissimo ricamo del castello. Le era molto caro e per questo io rifiutai. Insisté, dicendomi che tanto il maniero non sarebbe stato ricostruito e Gemona nemmeno. “Vedrà invece che risorgerà così come la città”, le assicurai. Andando via ebbi la sensazione di averle raccontato una pietosa bugia, specie per quanto riguardava il castello. Mi piacerebbe poterla incontrare oggi, per dirle che il suo sogno si è avverato», ha aggiunto il commissario con lo sguardo perso nel panorama. Tra i tetti della città e il suo maestoso duomo.
Orgoglioso? «Commosso direi. Io stesso non avrei mai creduto che la ricostruzione dov’era e com’era sarebbe riuscita. Volevo che il volto dei paesi non cambiasse. Che la gente, rientrando nelle case e aprendo le finestre, potesse ritrovasse lo stesso scorcio di prima del sisma. Un giorno lo dissi a una delegazione americana. Mi chiesero se ero matto».
Non era follia. Bensì ardimento, coraggio e impegno, messi a servizio di una scelta permise di restituire alla gente un Friuli rinato. Non senza qualche decisione sofferta. E qualche forzatura. Che ricordata ieri, a distanza di 39 anni, ha strappato più di qualche sorriso e momento d’ilarità sia a Zamberletti che ad ex sindaci e amministratori attuali, da Ivano Benvenuti, passando per Claudio Sandruvi, fino a Paolo Urbani.
All’epoca si rischiarono invece veri e propri terremoti politici. Si pensi ai “sequestri” degli appartamenti a Lignano e delle roulotte, necessari per ospitare i terremotati durante il primo inverno, in attesa dei prefabbricati. Il ’76, economicamente parlando, non era stato un anno fortunato come ieri ha ricordato l’onorevole: «Ricevetti una chiamata all’allora ministro del tesoro, che mi disse: “Non far mancare nulla ai friulani, ma attento che qua siamo alla canna del gas”. Non ebbi dubbi. La soluzione? Requisire». Gli appartamenti (dei milanesi) al mare, le roulotte in tutta Italia. «A Lignano mandammo fabbri e carabinieri. Sfondarono le porte, cambiarono le serrature e compilarono un verbale di consistenza (per censire ogni bene custodito all’interno delle case). Alla fine del soggiorno non solo gli appartamenti vennero riconsegnati in ottimo stato, ma spesso tornarono indietro anche meglio. Dico solo che pensando d’aver sporcato le cucine molti le imbiancarono». Stesso copione per le roulotte, lasciate con un mazzo di fiori sul tavolo.
Eppure, all’inizio, «successe il finimondo. Non vi dico Cossiga, che doveva trasmettere ai Prefetti l’ordine di requisizione. Sapete cosa fece? - ha detto divertito Zamberletti ai sindaci -. Scrisse: “D’ordine del commissario straordinario”». Che oggi ci ride su, ma qualche notte insonne - parola sua - l’ha passata. Anche dopo aver incontrato, una delle tante volte in Friuli, Enrico Berlinguer. «A dicembre avevo annunciato che entro il 31 marzo ’77 avrei portato la gente nei prefabbricati. Berlinguer mi disse: “Noi ti stiamo aiutando, ma se non ce la farai non pensare che la nostra sia una copertura politica per l’insuccesso. Ti attaccheremo duramente”».
Il resto è storia. Di un Friuli resuscitato. Anche grazie «alla forte unità politica che eravamo riusciti a creare e di cui ho nostalgia» ha confessato a più riprese ieri l’ex commissario: «E’ stata una chiave importante del successo. Non avremmo potuto prendere certe decisioni forti se non ci fosse stata quell’unità». Rimpianti Zamberletti dice di non averne: «Abbiamo fatto un grande lavoro. Varisco può stare tranquillo» ha aggiunto rivolgendo un pensiero all’amico, ex assessore regionale alla ricostruzione, spesso ingiustamente autocritico per aver mancato - a detta sua - la seconda parte della sfida, quella dello sviluppo del territorio compito dal sisma. Un territorio rinato grazie alla caparbietà della gente, all’unità della politica e infine anche alla “complicità” della stampa di allora, che Zamberletti ieri ha “omaggiato”: «Senza il Messaggero Veneto tutto sarebbe stato più difficile. Il giornale seppe guidare i friulani nella ricostruzione. Lanciare parole d’ordine. Gli devo molto - ha concluso rivolgendo un pensiero al direttore di allora, Vittorino Meloni -. Lo incontravo quasi ogni sera. Anche a tardissima ora. Se il Messaggero fosse stato puramente cronachistico e non avesse sposato la nostra battaglia, tutto sarebbe stato molto più difficile».
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