Vittima di Unabomber, ma non per la giustizia: «Mi hanno dimenticato»

Da più di 16 anni attende di conoscere un nome. L’identità celata dietro a quella che gli hanno assegnato i media: Unabomber. Sapere chi è il sadico bombarolo che ha assemblato la bottiglia con un cartiglio dentro, che aveva attirato la sua attenzione mentre passeggiava con la ragazza alle foci del Livenza, a Porto Santa Margherita: incuriosito, si era chinato a raccoglierla dall’acqua e gli era scoppiata tra le mani, straziandole.
Era il maggio 2006 e Massimiliano Bozzo, infermiere mestrino allora 28enne, divenne - lo racconterà poi la storia - l’ultima vittima dell’anonimo attentatore che per tredici anni ha fatto vivere nel terrore Veneto e Friuli Venezia Giulia, in una scia di sangue, dolore, sgomento iniziata nel 1993 e che improvvisamente si è fermata proprio in quel 2006, dopo 34 attentati andati a segno, segnando di sangue sagre, chiese, il greto dei fiumi, con bombe nascoste in tubi d’acciaio, candele, ovetti-giocattolo attira-bimbi, pennarelli, tra gli ombrelloni al mare.
PER APPROFONDIRE
Cinque Procure attivate, migliaia di persone controllate, centinaia intercettate. Fino a quando l’indagine si concentrò sull’ingegnere di Azzano Decimo, Elvo Zornitta: ma quando, infine, il professionista venne prosciolto da ogni accusa - e l’unico condannato fu un poliziotto accusato di aver manomesso un lamierino per incastrarlo - le indagini si spensero, chiuse a chiave come la stanza con tutte le prove.
Caso archiviato. Ma una bomba che ti esplode tra le mani per il sadismo di uno sconosciuto è un’esperienza che reclama un “chi” e un “perché”.
O perlomeno sapere che c’è ancora chi - tra gli investigatori e la magistratura - continua a cercare. Lo chiedono anche le altre dieci vittime di Unabomber, allora bambini e anziani dalle vite segnate per sempre dalla nitroglicerina dell’anonimo attentatore.
Bozzo ha deciso di non aspettare oltre e così si è rivolto all’avvocato Francesco Schioppa per presentare formale richiesta di riapertura delle indagini.
Per una inaspettata coincidenza temporale, dopo tanti anni di attesa, negli stessi giorni la pubblicazione dell’inchiesta del giornalista Marco Maisano - raccontata nel podcast “Fantasma”, edito da Gedi - ha convinto il procuratore di Trieste, Antonio De Nicolo, a riaprire formalmente le indagini per cercare di confrontare alcune tra le migliaia di indizi raccolti allora (capelli e peli trovati in alcuni ordigni) con la banca dati del Dna che è stata creata nel 2009, dopo la sospensione delle indagini. E cercare tra le immagini un tempo illeggibili.
Speranza di avere finalmente risposte? Sì, non fosse che Massimiliano Bozzo ha scoperto solo nei giorni scorsi di non essere stato formalmente preso in considerazione come vittima di Unabomber, non risultando inserito nella lista delle “persone offese” nonostante la sua mano e la sua vita segnate in maniera indelebile.
«Avevamo già deciso di presentare istanza per chiedere la riapertura delle indagini, perché non è possibile che non si continui a fare ogni sforzo possibile per dare una identità a chi si è reso responsabile di questa scia di attentati», spiega l’avvocato Schioppa, «inconcepibile che per anni sia rimasta chiusa in una stanza l’enorme quantità di materiale, intercettazioni, immagini, relazioni tecniche, testimonianze raccolte durante le indagini, rinunciando a cercare di scoprire la verità. Considerando poi l’enorme sviluppo delle tecniche d’indagine della polizia scientifica».
«Quando ci stavamo attivando per il deposito dell’istanza», prosegue, «è arrivata la notizia che il procuratore di Trieste ha deciso di riaprire le indagini, così, un paio di settimane fa abbiamo depositato una richiesta di accesso, per essere informati sullo stato del procedimento, che non solo risultava archiviato, ma non riportava il signor Bozzo tra le parti offese.
Abbiamo fatto formale richiesta alla Procura di Trieste di essere inseriti tra le vittime, ma ancora non abbiamo ricevuto risposta».
In questi anni Massimiliano Bozzo ha continuato la sua vita e il suo lavoro di infermiere per l’azienda sanitaria - spiega ancora il suo legale - «ovviamente con tutti i problemi che si trova ad affrontare nella vita quotidiana una persona invalida. Lui è molto forte, anche dal punto di vista psicologico: ha superato il trauma, ma non rinuncia a volere sapere. Non è possibile che si siano sospese per anni le indagini su un delinquente seriale al quale sono attribuiti oltre trenta attentati».
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