Vita da guardia medica tra qualche insulto e paura: «Quasi tutti ci rispettano»

Otto professioniste raccontano una notte, spesso in solitaria, in ambulatorio. «A rallentare il nostro tanto lavoro sono soprattutto le richieste improprie»

Enri Lisetto

«Ammazzati». È “l’invito” ricevuto da una giovane dottoressa per avere indirizzato un utente al suo distretto.

Un’altra, inoltrandosi in un viottolo buio alle 3 di mattina, ha mandato un sms alla madre: «Almeno sai dove sono».

«Ho la tosse e non mi curi?» e volano parole e pugni.

Benvenuti nel mondo delle guardie mediche: pochi soldi, rischi elevati, turni di lavoro notturni e festivi, fuori dall’orario di studio per la specializzazione. E pazienti disparati: l’identikit è dell’anziano di norma educato, dell’adulto più frizzante e del giovane irascibile.

E magari arrivato in ambulatorio “studiato” grazie a internet e quindi certo di diagnosi e cura. Basterebbe la firmetta di quella che sta là, la guardia medica.

Giorgia, di Roveredo, ha 28 anni ed è guardia medica da tre, corsista per diventare medico di medicina generale.

Lavora su disponibilità, come tanti altri colleghi, mettendo assieme la pratica ospedaliera, le lezioni e, di sera, il lavoro. «Io preferisco lavorare di giorno, nel fine settimana, perché di notte ho paura.

Mai subito aggressioni fisiche, ma verbali sì, dettate perlopiù da ignoranza di diritti e doveri. Partiamo dal presupposto che il paziente vive un disagio ed è dalla parte del bisogno».

La ventottenne cordenonese Elena sta sostenendo il corso per l’emergenza territoriale ed è in guardia medica da due anni, prima a San Vito e ora in città.

«Credo che vi sia tanta disinformazione su come funziona il servizio, nonostante vi sia una specifica Carta.

Il paziente si aspetta tutte le opzioni fornite dal medico di famiglia, invece avrà solo prestazioni non differibili, e del fatto che pochi professionisti debbano coprire tanti utenti non dimostra particolare interesse».

Un medico di medicina generale segue mediamente dai 1.500 ai 1.800 pazienti, una guardia medica copre un bacino di 15 mila utenti, anche a domicilio, anche distanti decine di chilometri (si pensi alla Valcellina, per esempio, o alla Val Tramontina).

Un’altra Giorgia, 26 anni, di Aviano, copre i turni a Sacile, dove il filtro d’accesso è rappresentato dalla portineria dell’ospedale.

«Riscontro più comprensione da parte degli anziani rispetto a giovani e persone di mezza età. Alcuni pazienti pretendono la visita a domicilio non per gravità, ma perché non vogliono spostarsi e, spiegando come funziona il servizio, mi sono sentita dire: lei non mi vuole aiutare».

Di origini armene, 49 anni, medico di medicina generale con 10 mila ore alle spalle di guardia medica soprattutto a Casa Serena, Hripsime spiega che «c’è tanta frustrazione sociale ed economica che si riversa su di noi».

Perché non su altri? «Perché guardie mediche e medici di medicina generale sono la prima porta, dagli specialisti si può arrivare soltanto dopo. Tutto il Servizio sanitario nazionale è in grave difficoltà e le proteste si scaricano sui medici di prossimità».

Ascolta i racconti delle giovani colleghe e paragona: «In passato c’era molto più rispetto. Tanti ricorderanno anche 2-3 ore di attesa senza pretese, oggi in ambulatorio arrivano persone che non sono d’accordo con quello che dice il medico, contestano, discutono e pretendono».

Riprende Giorgia: «Un sessantenne sacilese una mattina è entrato in ambulatorio prima dell’orario, ha preteso una ricetta per il mal di gola e, davanti al diniego, ha urlato, preso a pugni il muro e me.

Non soddisfatto ha pure minacciato di chiamare i carabinieri, che naturalmente avevo già chiamato io, sottraendomi alla sua ira. Un altro ha cominciato a parlarmi della sua sessualità e non capivo, almeno all’inizio, dove intendeva arrivare».

Ha girato e continua a girare tutti gli ambulatori («non a Sacile, dove sono stata verbalmente aggredita») la 26enne di Montereale Erica, obiettivo futuro medico di famiglia. Ecco un paio di tipologie interventi della notte precedente: un giovane ha chiesto la professionista a domicilio per pulirgli le orecchie.

Un paziente ha segnalato che stava male da dieci giorni, ma non era andato dal suo medico di medicina generale. «Quando opero nell’area nord sono proprio sola e quando esco scrivo a registro la destinazione e mando pure un messaggio a mia madre. I miei genitori vivono ore d’ansia, quando faccio la notte».

La zona più difficile? Per la trentenne Martina «Pordenone e Azzanese. Ma gli episodi di maleducazione li ho registrati soprattutto in città».

Al di là degli irascibili, ci sono i disagiati: «Chi ha bisogno di solito chiede gentilmente. Gli abituali li gestiamo e si instaura un rapporto di fiducia e di dialogo. Ben diversa è l’interazione con coloro, soprattto di mezza età, che avanzano richieste improprie».

Abbiamo parlato con tante donne: «Forse con noi alcuni pazienti non hanno remore, rispetto a un collega. Le aggressioni verbali? Di solito nascono a seguito di pretese non esaudite», conferma pure Giuliana, 28 anni di Fiume Veneto, che tende a non fare turni laddove si troverebbe da sola.

«A un paziente che ha chiamato da un altro distretto ho fornito il numero di telefono della sua sede di competenza. Sa qual è stata la risposta? Ammazzati».

E poi ci sono i social. Lorena, durante la pandemia, apparteneva agli Usca, in sostanza i medici che visitavano i contagiati: «Arrivai a domicilio bardata, con tutti i dispositivi di protezione previsti.

Poi, sul mio profilo Facebook, mi trovai il commento del paziente: “Per colpa sua sono visto come un appestato e adesso come la mettiamo?”». Della serie: ne usciremo migliori.

Infine, l’aggressione alla specializzanda di Udine, che vuole lasciare. «La comprendo, ma non so se abbandonerei completamente, caso mai passerei a un altro settore. Io mi faccio coraggio – chiude Giorgia – e comunque penso anche a quelle centinaia di pazienti che ho visitato e sono stati gentili».

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