Violenza sessuale in caserma

UDINE. Vanno dai carabinieri e subiscono una violenza sessuale da parte di un maresciallo che le palpeggia. Vittime due donne residenti in Friuli. Una si era recata in caserma per presentare una querela, l’altra invece doveva rimetterla. Entrambe sono state ricevute nell’ufficio del maresciallo Carmine D’Ascoli ed entrambe sono state oggetto di palpeggiamenti e frasi oscene a sfondo sessuale. Alla prima donna il militare avrebbe toccato il seno infilando la mano sotto la maglietta; all’altra, dopo aver chiuso a chiave la porta, il sedere costringendola anche a farsi afferrare le parti intime. Da qui le due querele presentate dalle donne che hanno fatto scattare le indagini della Procura.
Per questo motivo D’Ascoli, 50 anni, originario di Salerno, è stato condannato dal Tribunale di Udine a tre anni e un mese di reclusione per violenza sessuale, con l’attenuante dei fatti di lieve entità, e atti osceni in luogo aperto al pubblico. I fatti sarebbero avvenuti all’interno della caserma di viale Trieste tra il maggio e l’ottobre 2006, quando l’imputato, poi riformato per malattia, era in servizio nella stazione carabinieri di Udine.
Il Tribunale (il collegio era presieduto da Carla Missera con a latere Emanuele Lazzàro e Matteo Carlisi) lo ha condannato anche a risarcire 10 mila euro di danni a ciascuna delle due vittime (che si erano costituite parte civile con gli avvocati Andrea Sandra e Luca Beorchia chiedendo rispettivamente 50 e 25 mila euro di risarcimento) e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Il pubblico ministero Claudia Finocchiaro aveva chiesto una condanna a 5 anni e 6 mesi. Oltre ai palpeggiamenti, le due donne hanno raccontato di aver ricevuto anche molestie telefoniche con messaggi e chiamate a sfondo sessuale, ma in questo caso i reati, sempre risalenti al 2006, sono stati considerati prescritti sia dall’accusa che dai giudici.
L’avvocato difensore, Lorenzo Reyes (subentrato all’incarico quando la fase istruttoria era ormai terminata), ha però già preannunciato appello contro la sentenza. «Avevo chiesto l’assoluzione e adesso presenteremo appello contro una sentenza che riteniamo profondamente iniqua - spiega -. Riteniamo infatti che sia emersa un’oggettiva inattendibilità delle querelanti. La versione fornita da entrambe le donne appare inverosimile con contraddizioni macroscopiche. Non solo. Anche la condotta tenuta dalle stesse nell’immediatezza e successivamente agli episodi da loro denunciati è poco chiara. Perché non hanno presentato subito querela? E perché hanno continuato a scrivere messaggi e a telefonare al mio assistito? Ci auguriamo che in appello tengano conto di questi aspetti»
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