Villa Ritter è la casa dei misteri una tesi di laurea sui suoi segreti

Sull’edificio di Straccis circolano ancora tante voci, tra testimonianze di riti satanici e messe nere Delle leggende sull’ottocentesca costruzione si è appassionata la neo-criminologa Giulia Pieri
Di Christian Seu

Crocifissi a testa in giù, i versi del Padre nostro scritti al contrario, il “666” vergato sui muri con lo spray. Una tesi di laurea riaccende i riflettori su una voce mai del tutto sopita sul passato di villa Ritter, ottocentesca dimora fatta costruire dal barone Guglielmo, oggi sede dell’università privata padovana Ciels.

Di quei segni oggi non c’è praticamente più traccia, dopo l’ampia opera di riqualificazione voluta dal Comune, che l’aveva acquisita dall’Enel. Per quasi vent’anni la splendida costruzione è rimasta abbandonata, fino all’avvio dei lavori di ripristino, iniziati nel 2007 e ultimati nel 2012: e sarebbe proprio in quell’arco temporale di quattro lustri che, secondo la neo-dottoressa in criminologia Giulia Pieri, villa Ritter sarebbe stata teatro di cerimonie sataniche e messe nere. Ad avvalorare la tesi, i racconti di alcuni testimoni che proprio negli anni a cavallo tra la fine del millennio e i primi anni del Duemila hanno “frequentato” l’area di Straccis. Testimonianze che, a loro volta, ricalcano le “voci” di quartiere che da anni si susseguono. «Non mi fermo e voglio andare oltre», spiega Pieri. «Chiaramente non per imputare qualcosa a qualcuno, ma semplicemente per fare chiarezza: credo che le ditte che hanno operato nell’ambito della riqualificazione possano definitivamente smontare o avvalorare le ipotesi che ho cercato di riportare nella mia tesi di laurea».

C’è un fondo di verità nei racconti di chi ha parlato con la giovane studentessa? Oppure le testimonianze sono state in qualche maniera influenzate dalle voci che negli anni hanno contribuito a costruire un’aura di mistero attorno al passato recente di villa Ritter?

Le testimonianze

«Al piano terra c’erano semplicemente immondizie, lattine, molti graffiti sui muri, più o meno satanici. C’erano molti pentacoli e croci rovesciate, siringhe, disegni sui muri, tanti graffiti satanici. Fatti anche da mani adolescenti», racconta Luca, uno dei testimoni (il nome è di fantasia) sentito da Giulia nel corso della sua indagine. Le interviste sono state realizzate perlopiù con giovani adulti, che a cavallo del Duemila erano adolescenti: entravano nelle pertinenze della villa, ancora presidiata da un custode, soprattutto per “prove di coraggio”, per giochi insomma che avevano come unico obiettivo quello di ammazzare il tempo. «La seconda volta in cui ci sono stato è probabilmente la più interessante perché questa volta siamo entrati da sotto, da via Spazzapan, che costeggia la centrale idrica. Avevo circa 16 anni, era sempre verso sera, era buio: le 21, settembre. Le auto mi colpirono: erano targate Trieste, tutte italiane, di marche diverse, però tutte nere. Non tutte di lusso, erano posteggiate come se si fossero volute nascondere».

In quegli anni, peraltro, proliferavano anche sul Carso triestino i riti satanici. In un periodo «anteriore al 2003», secondo un’altra testimonianza, dei ragazzi avevano trovato sul pavimento dell’ultimo piano della villa «dei cerchi e un pentacolo tutto deformato, con escrementi umani a ogni punta. Candele, piume di volatili, libri marci, riviste porno, vestiti usati».

Le conclusioni

«Sulla base delle informazioni raccolte e sull’analisi compiuta è possibile affermare che tra gli anni Novanta e gli inizi del 2000, con molta probabilità, vennero celebrate delle messe nere all’interno della villa», scrive nelle sue conclusioni Giulia Pieri. «Non si può affermare con certezza quanto fossero programmate poiché, sebbene la stanza all’ultimo piano fosse usata per svolgere tali riti, vi sono comunque degli elementi mancanti, come per esempio un altare. Inoltre, il fatto che anche nel seminterrato e nel primo piano vi fossero graffiti satanici, riviste pornografiche, siringhe, preservativi e altro materiale, fa pensare che la villa fosse anche meta “ambita” da adolescenti in cerca del brivido. O da tossicodipendenti che consideravano la villa un riparo sicuro».

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