Viaggio tra i migranti che dormono nei bus all'ex ospedale psichiatrico: un caso di Covid-19 in attesa dei trasferimenti

Migranti nordafricani nel giardino dell'ex ospedale psichiatrico di Udine: sullo sfondo uno dei bus che fa da "camera da letto"
Migranti nordafricani nel giardino dell'ex ospedale psichiatrico di Udine: sullo sfondo uno dei bus che fa da "camera da letto"

UDINE. Deve sembrare sospeso il tempo ai richiedenti asilo che trascorrono le loro giornate nell’area a ridosso del campo da calcio dell’ex ospedale psichiatrico di Udine. “Sono qui da dodici giorni”, si lamenta Suddiqui Javed Fardas, 21 anni, pakistano. “Perché altri arrivano e dopo poche ore se ne vanno? Ho visto i miei amici andarsene: il mio nome non è mai nella lista della police”. In realtà i tre bus parcheggiati sul sagrato del Santuario di Tricesimo hanno mosso verso Sant’Osvaldo appena quattro giorni fa, domenica 6 settembre. "Puntiamo a trasferire tutti i migranti entro venerdì", assicura il prefetto Angelo Ciuni

Erano 32 domenica, sono diventati 39 mercoledì 9 settembre, in attesa che sette di loro partano per il Cara di Gradisca d’Isonzo: la Prefettura di Udine ha ottenuto la disponibilità di quella goriziana per accogliere alcuni dei migranti costretti a dormire sui pullman. Sono in quarantena, non possono allontanarsi fino a nuovo ordine, anche se la quasi totalità ha effettuato già il tampone: uno di questi è risultato positivo ed è stato posto in isolamento.

I migranti che a Udine vivono nel bus: "Non riusciamo a dormire"

Sette aspettano il test anti-Covid, nel frattempo bighellonano tra i torpedoni e i cedri che almeno garantiscono un po’ di ombra, una delle poche cose che qui non manca a questi ragazzoni, provati da un viaggio lunghissimo (che dura mesi, spesso anni) e dall'accoglienza non facilissima in via Pozzuolo. Qualcuno, eludendo la sorveglianza delle forze dell’ordine (si alternano carabinieri e Guardia di Finanza), è riuscito a scappare nottetempo, approfittando anche della confusione generata dai nuovi arrivi di martedì sera, quando all’ex ospedale psichiatrico sono arrivati una dozzina di stranieri rintracciati a Terenzano.

Non c’è la doccia, non ci sono neppure sedie. Dormire sui tre pullman rigorosamente “igienizzati” come recita un cartello appiccicato sul parabrezza, non deve essere particolarmente confortevole. I migranti – età media 23 anni – provano a schiacciare un pisolino tra le aiuole, a poca distanza da graffiti e cocci di vetro. Niente doccia: il telefono è una pompa di gomma, il piatto un bancale di legno. Per l’acqua calda bisogna ricorrere alla fantasia. Al contrario “il cibo è buono, molto”, ci dicono quasi in coro: colazione, pranzo e cena, martedì sera è arrivata la pizza e spesso la pasta è accompagnata da contorno e secondo, portati dai volontari della Croce Rossa.

Niente doccia: per lavarsi un tubo attaccato al rubinetto
Niente doccia: per lavarsi un tubo attaccato al rubinetto

Rifocillarsi aiuta il corpo e lo spirito. Suddiqui non vede l’ora di andarsene, per lui Tricesimo o Udine pari sono: vuole stare in Italia, ma nascosto dietro la mascherina che tutti indossano chiede un letto dove riposare. I gruppi occupano gli spazi verdi, spontaneamente divisi per nazionalità: marocchini e algerini stanno a metà giardino tra bengalesi e pakistani, chi parla inglese riesce e mediare tra gli schieramenti. “Non riusciamo a dormire, quella è la cosa peggiore – spiega il ventunenne pakistano, con piglio deciso e inglese fluente -.  Ci sono grandi, grandi problemi qui: non riusciamo a dormire sul pullman, i sedili non ti permettono di riposare bene, stiamo spesso svegli anche la notte. Ci sono persone che arrivano, stanno un giorno e se ne vanno: io e altri ragazzi siamo qui chi da otto, chi da nove, io da dodici giorni. Questo è un problema”.

Un richiedente asilo dorme all'interno di uno dei tre bus posteggiati nell'ex ospedale psichiatrico
Un richiedente asilo dorme all'interno di uno dei tre bus posteggiati nell'ex ospedale psichiatrico

Hussein Khalied ha 27 anni, è originario del Bangladesh e ha trascorso gli ultimi quattro in viaggio cercando un futuro migliore: prima in Sudan, “dove per sei mesi ho vissuto in condizioni proibitive, senza cibo né un posto dove stare”, poi ha tentato la strada dell’Europa, da clandestino dopo aver tentato di approdarvi legalmente. “Ho chiamato mio padre quando ero ancora in Sudan: ha pagato per garantirmi il transfer in Turchia. Da lì ho percorso a piedi la rotta balcanica, passando per la Serbia, la Croazia e la Slovenia”.

Un giovane migrante pakistano con la maglia della Bosnia di Miralem Pjanic, recuperata lungo il viaggio
Un giovane migrante pakistano con la maglia della Bosnia di Miralem Pjanic, recuperata lungo il viaggio

In tutto racconta di aver speso più di 15 mila euro. “Ci sono pakistani, bengalesi che fanno da tramite per i trasferimenti”, ammette Hussein, uno dei pochi a sbilanciarsi sul tema. Altri riferiscono di aver fatto tutto da soli, pur avendo pagato somme che variano tra i mille e i cinquemila dollari per garantirsi il passaggio verso l’agognata meta. Per alcuni è l’Italia: i bengalesi sono quelli più determinati a restare e costruirsi un futuro qua, così come i nordafricani. Marwane, 27 anni di Marrakesh, ha qui la famiglia: non fa in tempo a raccontarci dei suoi parenti a Maniago che fratello e cugino sbucano da una delle stradine sterrate che circondano il campo di pallone. Una sorpresa, in attesa del lieto fine e dell’okay della Prefettura al trasferimento: ci sono mascherine da indossare e quarantena da rispettare, ma la famiglia è contenta così visto che "non lo sentivamo da venti giorni, temevamo fosse morto".

Marwane riabbraccia il cugino, che abita a Maniago
Marwane riabbraccia il cugino, che abita a Maniago

Tanti restano, vogliono raggiungere chi Bologna, chi Milano. Chi la Germania, la Francia e la Spagna. Muhammad Alì Jamishaid Anwat ha 30 anni, è pashtun e ci tiene a scriverci il suo nome su un blocchetto di carta, copiandolo da un foglietto spiegazzato che tiene in tasca: gli hanno insegnato a scriverlo con i caratteri latini. Un altro ragazzo, arrivato appena l’altra sera, chiede shampoo e sigarette, un terzo si avvicina per mostrare le piaghe purulente che gli massacrano le gambe.

Via le scarpe, una coperta sul prato: c'è chi prova a riposare così
Via le scarpe, una coperta sul prato: c'è chi prova a riposare così

Resteranno qui ancora qualche giorno, sospesi in un non-luogo di ombra e corriere: la Prefettura sta lavorando alacremente per tentare di mettere un tetto (e non un tettuccio) sopra le loro teste. Ma gli spazi mancano, così come gli accordi con i sindaci per aprire tanti immobili chiusi. Uno sarà riaperto: si tratta dell'albergo Pradibosco di Prato Carnico che ospiterà "migranti che, risultati negativi al tampone covid, debbono comunque fare la quarantena (di 15 giorni) perché provenienti da Paesi a rischio", ha scritto il sindaco Erika Gonano.


 

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