Veneto Banca dichiarata fallita: passivo finale di 538 milioni

Il patrimonio non è sufficiente a soddisfare i creditori e pertanto «va senz’altro dichiarato lo stato di insolvenza di Veneto Banca in liquidazione coatta amministrativa». Con una sentenza dirompente depositata martedì scorso, il tribunale di Treviso ha accolto l’istanza della Procura che aveva chiesto il fallimento dell’istituto di Montebelluna. Il provvedimento di 17 pagine, firmato dal presidente della sezione fallimentare Antonello Fabbro e dai giudici Francesca Bortali e Petra Uliana, arriva ad un anno dalla messa in liquidazione dell’istituto ed è destinato ad avere vastissima e lunga eco.
Esso infatti costituisce un precedente significativo (il tribunale di Vicenza deve decidere su BpVi) e segna una clamorosa svolta sul fronte penale permettendo l’apertura dell’inchiesta per bancarotta, un reato con prescrizione lunga che scongiura quindi il rischio del colpo di spugna sulle indagini.
I criteri di valutazione
«La messa in liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca segna il passaggio da una situazione di continuità ad una situazione liquidatoria e impone quindi un diverso approccio in base al quale verificare la sussistenza o meno dello stato di insolvenza», è la premessa della Sezione fallimentare. Per il collegio lo stato di salute della banca e del suo patrimonio non può essere valutato con i criteri usati quando ancora erano in piedi le ipotesi di risanamento.
Quindi, prosegue il tribunale, «bisogna verificare in termini di probabilità, secondo il metodo della prognosi postuma, se la liquidazione del patrimonio della banca consente di soddisfare regolarmente tutti i creditori». Come? Andando a vedere se i presunti valori di realizzo dell’attivo permettono di estinguere le passività e di far fronte alle esigenze immediate.
Non basta pertanto che al 25 giugno 2017 (data della liquidazione dell’istituto) la banca avesse un patrimonio di 1,6 miliardi: la verifica dell’insolvenza «va fatta sulla base di uno scenario di liquidazione atomistica» riferita alla cessione dei diversi cespiti. Le previsioni in base a tale soluzione portavano «a conclusioni disastrose per i creditori chirografari» che non avrebbero avuto la minima possibilità di rimborso.
Passivo da 538 milioni
E l’intervento dello Stato a sostegno della liquidazione, con un’iniezione di 2,3 miliardi di euro, ha scongiurato scenari drammatici, ma non ha risolto il problema. Perché, scrive il tribunale, «la liquidazione si chiude con una passività di 538,5 milioni di euro e quindi con una evidentissima e rilevante mancanza di liquidità da destinare ai creditori chirografari». A restare fuori saranno, in particolare, i detentori di obbligazioni subordinate. E il fatto che lo Stato si sia collocato in super-privilegio tra i creditori «ha l’evidente finalità di garantire un’adeguata tutela del credito in caso di insolvenza, ritenuta evidentemente molto probabile».
La richiesta della Procura
Il tribunale ha dunque accolto l’istanza di dichiarazione di stato di insolvenza avanzata dal pm Massimo De Bortoli. Che, per dimostrarla, si era soffermato sull’incapacità di Veneto Banca di rimborsare le obbligazioni subordinate dell’istituto a tasso variabile il 21 giugno 2017, con conseguente intervento del governo che aveva disposto la sospensione dell’operazione. Non solo: il patrimonio di vigilanza dell’istituto nel 2013 «era largamente sovrastimato e, nelle annualità successive, i coefficienti patrimoniali riportati nei bilanci risultano essere inferiori ai limiti richiesti dalla Bce».
Liquidatori e Cda
I liquidatori Fabrizio Viola, Alessandro Leproux e Giuliana Scognamiglio in sede di udienza si erano sostanzialmente rimessi alla decisione del tribunale. «Non abbiamo ancora avuto modo di leggere la sentenza», ha spiegato ieri il legale dei commissari, l’avvocato Giuliano Pavan, «Ma riteniamo che il tribunale abbia operato in applicazione della legge». Il che significa che dovrebbero essere escluse impugnazioni.
Il Cda a guida Massimo Lanza (con il professor Lorenzo Stanghellini) aveva invece espresso posizioni opposte rispetto alla Procura. L’istituto era in stato di dissesto, al di sotto dei coefficienti patrimoniali minimi - la tesi del board - ma comunque in grado di lavorare. È probabile pertanto che l’ex Cda impugni la sentenza in appello. —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto