Unabomber, parla Zornitta: «Non ho più sogni, sto provando a riprendere la mia vita»
L’inchiesta aperta nel 2022 ha scagionato definitivamente l’ingegnere di Azzano Decimo. «Ho pensato di farla finita, ora spero solo in un periodo di tranquillità»

«Sto cercando di riprendermi la vita, se non continuano a boicottarla. Ma sogni non ne ho più». Ha temuto di essere arrestato? «Sicuramente». Ha pensato di farla finita? «Sì».
Incontro – per la prima volta – Elvo Zornitta nello studio dell’avvocato Paolo Dell’Agnolo che, con Maurizio Paniz, ha composto il collegio difensivo. Dall’immenso fascicolo spunta una vecchia lettera della madre di Elvo Zornitta, nella quale esprime la convinzione della sua innocenza. L’ingegnere, che il 25 ottobre compie 68 anni, si commuove.
Sul tavolo dello studio legale ci sono la copia del famoso lamierino che ha scagionato colui che fu il principale sospettato di essere Unabomber, la copia di una forbice e null’altro perché di questi 21 anni l’ingegnere nato ad Auronzo, vissuto a Belluno e poi ad Azzano Decimo, ricorda tutto. Ci sono volute 10 mila pagine di perizia per scagionarlo, «speriamo definitivamente».

Ingegnere, ha date scolpite nella memoria?
«Certamente. La prima perquisizione. Avvenne nel maggio 2004. Si presentarono a casa mia, alle 6.45, due auto, otto persone, poi ne arrivò un’altra. Stavo dormendo. Suonarono il campanello. Pensavo che fosse un vicino di casa che aveva bisogno di una mano. Chiesi cortesemente di poter svegliare mia moglie e mia figlia, quest’ultima affinché non vedesse quanto stava succedendo. Ho un ricordo abbastanza vivo anche dei vari interrogatori che ho subito nel corso del tempo e delle altre perquisizioni. Speravo che il prosieguo dei crimini avrebbe potuto scagionarmi, in realtà non fu così».
La seconda data?
«Agosto 2006. Stavo uscendo da messa quando una troupe televisiva mi disse che era stata trovata la prova decisiva contro di me: un segno lasciato da una forbice su un lamierino. Mi crollò il mondo addosso, convinto com’ero di non centrare proprio nulla e che la verità sarebbe emersa. Ciò mi creò un disastro emotivo. Corsi a casa, telefonai all’avvocato Paolo dell’Agnolo. Da allora si avviò un calderone infernale che si sarebbe aggravato di giorno in giorno. Era la prima volta che avevo a che fare con la legge: non sapevo che cosa fare, come comportarmi».
La sua abitazione era meta di curiosi?
«Di giornalisti e troupe tante. Vidi spesso gironzolare auto sconosciute, ma nessuno degli occupanti mi chiese qualcosa».

Aveva una bambina piccola, come la protesse?
«Sin dall’inizio io e mia moglie avevamo deciso di spiegare che cosa stava succedendo. Le dicevamo che era uno sbaglio, che ne saremmo usciti, che non c’erano problemi. Ma al protrarsi delle cose, era sempre più difficile a dirsi. Questo a casa. Ciò che non era gestibile era altrove: a scuola. Mi chiedevo cosa potessero raccontarle. Così come ciò che poteva vivere mia moglie, che insegnava alle elementari. Era uno strazio pensare non solo alla mia, ma anche alla loro situazione, a quella di mia madre e mio padre, ottantenni, che speravano di vivere serenamente gli ultimi anni della loro vita e questo non succedeva». (La voce di Elvo Zornitta qui si rompe dalla commozione)
«Trovai personalmente due periti, uno a Mantova e uno a Varese, che potessero sostenermi, Battaini e Riccadonna. Non trovavano il bandolo della matassa. “Vi prego, insistete, controllate ancora, perché non sono io!”, li supplicavo. Quel “non sono io” l’ingegnere Battaini lo fece suo. Battaini mi disse: “Accetterei l’incarico, ma mi devi giurare che non mi farai mai dire il falso”. Aveva una grande onestà intellettuale».
I suoi genitori hanno fatto in tempo a sapere che il caso è stato archiviato?
«Sì, l’archiviazione risale al 2009. Poi c’è stata una serie di processi contro Zernar per dimostrare che effettivamente il lamierino era stato volutamente tagliato e sono durati diversi anni. Per fortuna i miei genitori non hanno visto la riapertura delle indagini».
Siamo a fine 2022, alla riapertura dell’indagine, appunto.
«La ferita non si era mai rimarginata, però in quell’occasione ricordo che in 25 giorni calai di 12 chili. Non me l’aspettavo, speravo di essermi lasciato alle spalle un periodo buio».
Ingegnere, sua moglie le ha mai chiesto: ma tu non c’entri davvero?
«No. Sono una persona pantofolaia, vivo molto a casa. Condividiamo completamente i nostri periodi liberi, sin da quando ci siamo sposati. A me piaceva sciare, a mia moglie no. Ho abbandonato lo sci. Ci piaceva camminare in montagna, poi mia moglie ha cominciato ad avere incidenti, cadute con rotture, e così abbiamo entrambi lasciato. Abbiamo imparato a vivere, e lo facciamo da 33 anni, molto uniti e molto come famiglia. Non penso che mia moglie abbia mai avuto dubbi. La confidenza era assolutamente totale».
I suoi amici, i suoi vicini di casa?
«Soprattutto nella fase 2006-07 tanti conoscenti non si sono più fatti sentire. Nel paesino dove vivo non mi sono mai sentito accusato. Viceversa, quando uscivo, andavo a Pordenone o Azzano si verificavano scene che mi hanno fatto piangere e tremare».
Del tipo?
«Al supermercato quando riposi sugli scaffali una scatoletta di tonno che avevo appena preso, una cliente corse subito dalla commessa per dirle ciò che stava succedendo. Lasciai tutto lì e me ne andai. Ma non era stata né la prima né l’ultima volta. Quando passeggiavo la gente mi guardava con la bocca aperta: si girava e mi osservava. Cose spiacevoli, lo sentivo, a causa della notorietà negativa».
Si sentiva già condannato?
«Molte volte mi sono trovato ad ascoltare le sirene della polizia, aspettando che venissero ad arrestarmi. Me lo aspettavo da un momento all’altro».
Ha avuto manifestazioni di solidarietà inaspettate?
«Sì. Da parecchie persone che mi hanno scritto. Da bellunesi, da alcune persone di Padova. Ho ricevuto molte lettere da parte di detenuti che mi chiedevano un aiuto e io mi sentivo impotente».
Se avesse davanti Unabomber, che cosa gli direbbe?
«Ho un grosso rancore verso questa figura. Adesso sento solo il vuoto, la desolazione, anche per il fatto che dopo più di vent’anni non è stato trovato nessuno».
Si è fatto un’idea?
«Come tutti. A questo punto credo che sia morto».
Da quando è stato indagato ha avuto problemi di lavoro?
«Subito sono stato licenziato. Ero la persona di riferimento dell’azienda dove lavoravo».
Cosa le dissero?
«Quello che dicono tutti i titolari: crisi di lavoro, la posizione è soppressa».
Non fecero cenno all’inchiesta?
«No».
Lei capiva che era così?
«Ero il responsabile di tutto il gruppo e l’unico licenziato. Dopo tre mesi un piccolo imprenditore mi diede l’opportunità di ricominciare da zero e mi sono ricavato un piccolo spazio».
Oggi?
«Sono in pensione e sono contento e spero di potermi godere un po’ di pace».
Si aspetta delle scuse dallo Stato?
«Me le sono aspettate per tanto tempo, soprattutto da chi mi aveva accusato, ma evidentemente non è nella prassi né nella volontà di certe persone quella di scusarsi».
Ingegnere, che vita fa oggi?
«Sono sempre stato appassionato di bricolage e continuo a farlo, come una volta».
Quel bricolage che la mise in difficoltà, peraltro...
«È la mia valvola di sfogo e non ci rinuncio. Sono appassionato di meccanica, cerco di aiutare gli amici che hanno varie invenzioni in corso e mi dedico, questa è una novità, alla cucina».
Cosa le piace cucinare?
«Prediligo le cose semplici e artigianali». (Per la prima volta durante tutta l’intervista sorride di gusto)
Si sta riprendendo la vita?
«Sto cercando, se non continuano a boicottarla».
Teme che possano succedere altre cose ancora o il capitolo è davvero chiuso?
«Questo me lo devono dire gli avvocati».
Lei ha ancora fiducia nella giustizia?
«Cos’è la giustizia? In senso generale ho fiducia, in senso limitato posso dire che è composta da una parte inquirente-investigativa e una parte giudiziale. Per la prima parte francamente ho qualche dubbio. Tanti dubbi».
Ha fede?
«Sì».
L’ha aiutata?
«Si in certi momenti sì. La mia fede non consiste nell’andare in chiesa ogni domenica. Credo fermamente che ci sia qualcuno per cui si paghi o si goda una volta che sarà finita questa vita. Questo mi ha supportato in molte occasioni».
Ha mai pensato di non farcela?
«Ho pensato anche di farla finita, se intende questo. Più di una volta. Poi mi sono chiesto: cosa lascio? Chi lascio? Il mio avvocato mi ha detto: cosa devo dire a tua figlia, oltre che il papà non c’è più?».
Ha avuto modo di incontrare le vittime di Unabomber?
«No».
Se le incontrasse, che direbbe loro?
«Sono molto dispiaciuto di quello che gli è successo e non posso che dirmi sinceramente addolorato che siano state le prime ad avere dolore fisico a causa di questo mascalzone».
Anche lei è una vittima di Unabomber?
«Sì. Come mia moglie e mia figlia, soprattutto».
Cosa succede quando la sera spegne la luce?
«Ho questo marasma di ricordi che mi assalgono».
Ha rabbia?
«No, non l’ho mai avuta. Anche se ci sono stati momenti in cui avrei reagito».
Ha ancora dei sogni?
«No, non riesco più ad immaginare qualcosa che potrei fare. Purtroppo sono tutti finiti. Ora spero solo in un lungo periodo di tranquillità e pace, di poter stare con la mia famiglia e fare qualche viaggio».
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