Un uomo delle Frecce tricolori riapre villa Bartolini

L’ex comandante Tàmmaro ha acquisito il “Palasat” nel borgo piú bello di Varmo accanto alla Casa a Nordest di Maldini

VARMO. Santa Marizza in un mattino di febbraio del 1989. C’era un rustico in vendita, confinava con una villa austera dall’intonaco bianco segnato dal tempo: il “Palasat”, la casa piú bella del borgo.

Per dirla con Elio Bartolini: “Chi abita la villa?”. Non lo sapevamo ancora.

La abitava proprio lui, lo scrittore, con la moglie, la signora Gioconda. Ancora non li conoscevamo, non sapevamo quale e quanta vivacità poteva venirci dall’averli come vicini di casa.

Nel freddo dell’inverno era invidiabile il fumo che usciva da un loro grande comignolo, la luce di una finestra che si accendeva nel crepuscolo mentre noi dovevamo ritornare a Venezia.

Iniziavano i restauri della nostra casa, e per tutta la primavera e l’estate Elio avrebbe seguito i lavori, il cantiere, curioso dei nuovi vicini, “i veneziani”. Sembrava scettico sui restauri, aspettava, non dava pareri, parlava con le maestranze in marilenghe marcando una differenza con noi forestieri.

In settembre la nostra casa era pronta. Faceva ancora caldo ma Elio Bartolini, il primo giorno in cui l’avremmo abitata, “la prima notte”, diceva, era entrato in cortile conducendo di mano sua (e poi avremmo capito che era un gesto raro) una carriola con dentro alcuni ceppi e una bottiglia di bianco friulano. Con lui Gioconda e la figlia Olga col marito Popi Perani.

Venne acceso il camino nella sala, al pianterreno, alle 17 di un giorno di sole. Brindammo con calici di Murano, ma il vassoio era posto su una sedia, la stanza era vuota.

Oggi ricordiamo Elio quando metteva una scala addossata al muro di cinta tra le nostre proprietà e si affacciava per parlare, per commentare un libro, per dire che si aspettava molte piú porcherie da una biografia su Richelieu; Elio, che a un suo gatto aveva imposto il nome di Dodo traendolo dal soprannome di mio marito.

A Varmo riapre villa Bartolini

La sera si giocava a briscola, lui, con feroce acutezza, si arrabbiava: non tenevamo a mente le carte e prendevamo il gioco alla leggera.

Al mattino commentavamo il rumore petulante della sua cinquecento gialla spinto al massimo, la frizione abbassata, Elio al posto di guida che non scende e che non parte. “Cosa aspetta?”, ci domandavamo.

Una quotidianità costellata da minuti gesti, ci sentivamo parlare nei giardini confinanti, sapevamo gli orari, le luci delle stanze si accendevano, marcavano abitudini: l’oblò sulla scala si illuminava a indicare il percorso verso la camera da letto. Ci dava la buonanotte.

Per anni le luci sono rimaste spente, Elio era partito per sempre e Gioconda lo aveva seguito.

Infine la notizia: il “Palasat”, villa Bartolini, è stato comperato. Chi abiterà la villa? Ed ecco il colpo di teatro: l’ha acquistata il comandante Massimo Tàmmaro che ha ripetuto lo stesso gesto gentile di Elio a piú di venticinque anni di distanza: è venuto a trovarci con una bottiglia di spumante friulano.

Di nuovo luci, voci, presenze, progetti. Il “Palasat” rivive la sua vocazione alla cultura.

Tammaro progetta di restaurare antichi affreschi perché la villa parli del suo passato: una preesistenza alto medioevale, ne era convinto Bartolini. Sulla parete di un annesso della casa dominicale, si affaccia una Madonna col bambino benedicente, la affianca un santo col cappello da pellegrino, forse un San Rocco che, liberato dagli intonaci sovrapposti, addita il bubbone sulla coscia: “Che cosa” – scriveva Elio Bartolini in uno dei suoi “Racconti cattolici” – se non a supplicare scampo da una peste di nuovo serpeggiante nell’Illirico?».

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