Un tempo le pagnotte erano a forma di “esse”

La festa di San Valentino in borgo Pracchiuso non è legata solamente all’amore. Ha origini ben più profonde e radicate nella storia e nella religione; è legata a simboli, come le chiavette, i pani e i ceri, e a riti ben precisi.
Ciò che spinge migliaia di persone, da secoli, a visitare la chiesetta che custodisce nel suo cuore le reliquie del Santo il 14 febbraio di ogni anno, è la devozione nei confronti del protettore dalla peste e dall’epilessia. La storia di San Valentino con quella di Pracchiuso si incrociano nel 1355, quando la famiglia dei conti Valentinis decise di erigere una chiesetta a lui dedicata vicino l’antica porta (l’attuale Sant’Antonio). Dopo la nascita della confraternita di San Valentino nel 1513, si presentò l’esigenza di erigere una chiesa più grande, che prese forma nel 1574 e che ora sorge incastonata tra le mura di quello che fu l’ospedale militare.
La venerazione del Santo è sempre stata molto sentita in Pracchiuso, soprattutto dopo la peste che colpì Udine nel 1598. Ma il pellegrinaggio a San Valentino era organizzato anche da chi era colpito da epilessia: si portavano le grosse chiavi di ferro dei portoni a benedire, le stesse chiavi che erano appoggiate sulla fronte del malato nel momento dell’attacco epilettico (il freddo del ferro si riteneva servisse per calmare le convulsioni o per far riprendere dagli svenimenti). Con il passare del tempo le chiavi sono diventate chiavette di stagno o di altro materiale da tenere in tasca o da appendere come spilla, che sono rimaste il simbolo di San Valentino, e che sono distribuite nella chiesetta ancora oggi, dopo la benedizione del 13 febbraio.
E un altro dei tratti caratteristici della tradizione del Santo è il pane a forma di “8”, che viene benedetto con le chiavette. Deriva dall’usanza nata ai tempi della chiesa primitiva in cui in occasioni particolari si distribuivano pani benedetti ai fedeli. La confraternita di San Valentino lo realizzava a forma di “S”, che per comodità nel tempo ha preso la foggia di “8”. E si tratta dello stesso tipo di pane che la confraternita regalò, assieme ad alcuni ceri benedetti, ai nobili Manini de Bucy che avevano donato nel ’500 il terreno per edificare la nuova chiesa di San Valentino, dove sorge tutt’ora. Una donazione che fecero il 14 febbraio e che fino agli inizi del ’900 la famiglia Manin continuò a ricevere dai borghigiani.
E mentre il nuovo edificio cinquecentesco prendeva vita e diventava sede parrocchiale, con il tempo la vecchia chiesetta vicino alla porta cadde in abbandono. Divenne deposito di armi in età napoleonica, fu trasformata in osteria e persino in locanda con la denominazione “Al Boia”. Nel 1957 fu restaurata e consacrata a Sant’Antonio, che aveva predicato proprio in borgo in una sosta a Udine durante un viaggio a Gemona. Un appuntamento con la storia e la tradizione, quindi, è quello che riconsegna anche quest’anno Pracchiuso alla città, con l’immancabile commistione della gioia degli innamorati, che in San Valentino hanno trovato un benevolo ed accogliente protettore. (s.d’e.)
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