Un secolo fa l’esplosione della polveriera che distrusse Sant’Osvaldo

Centinaia le vittime tra cui 26 civili, ma la censura bloccò la notizia Domenica l’inaugurazione della mostra organizzata dalla parrocchia
San Osvaldo. Scoppio del deposito di munizioni. 27 agosto 1917. Archivio Friuli. Neg. 11855
San Osvaldo. Scoppio del deposito di munizioni. 27 agosto 1917. Archivio Friuli. Neg. 11855
Il 27 agosto 1917, alle 11, la polveriera di Sant’Osvaldo saltò in aria. Il boato dell’esplosione si avvertì in tutta Udine. Centinaia le vittime: 26 civili e almeno 200 militari. Numerosi i feriti. Le case furono rase al suolo. A 100 anni da quel disastro le cause restano ancora sconosciute. Si ipotizzò il sabotaggio, un bombardamento aereo e l’incuria nella sorveglianza dei tre depositi di munizioni presenti a ridosso del manicomio. All’epoca i fatti non vennero raccontati, la censura li ridusse in poche righe pubblicate un mese dopo sulle pagine de “La Patrie del Friuli”.


Ma ci sono eventi che anche se non vengono resi pubblici segnano i luoghi e questo è uno di quelli. A Sant’Osvaldo tutte le generazioni hanno sentito parlare dello scoppio ecco perché, nel primo centenario, la parrocchia ha voluto raccontarlo in una mostra che sarà inaugurata dopodomani, domenica, alle 10.30, nella sala a fianco della chiesa.


Attraverso immagini, documenti e testimonianze, il Comitato composto da Elisa e Ilaria Bertoli, Silvia Bianco, Massimo Turco e Gaetano Vinciguerra, ha messo assieme più di qualche tassello per raccontare cosa accadde cento anni fa nel quartiere a sud della città. «Tutto venne messo a tacere – spiega Bianco che è anche una conservatrice dei civici musei di Udine – . Alle 11, di fronte al manicomio, in comune di Campoformido, scoppiò il deposito di munizioni e da lì seguì una serie di scoppi per l’intera giornata. Saltò in aria pure il deposito che si trovava dentro la nuova scuola elementare requisita per la guerra. Quella scuola non fu mai inaugurata».


Drammatiche le immagini conservate nella fototeca del castello ed ora esposte a Sant’Osvaldo. «Mostrano – sono sempre le parole di Silvia Bianco – la nube simile a un fungo atomico che quella mattina si vide fino a Moruzzo». La voglia di far luce su quell’evento ha spinto gli organizzatori a Roma, negli archivi del Genio militare che, per l’occasione, ha messo a disposizione alcune fotografie mai esposte prima. La mostra non entra nel merito della ricostruzione del quartiere. La parrocchia, per scelta, ha preferito documentare la distruzione e ricostruire il profilo delle vittime. Profili sconosciuti ai più. «Nel 1919, due anni dopo la tragedia – sottolinea lo storico Vinciguerra – l’allora sindaco di Udine Pecile si scusò con la cittadinanza per aver coperto uno scoppio di portata incredibile, che aveva cancellato parte della città». Gli effetti dell’esplosione si avvertirono fino a Manzano. «E per nascondere la portata dell’esplosione, ma soprattutto per non fornire informazioni ai nemici, alle vittime furono negate anche le onoranze funebri». Cento anni dopo, però, Vinciguerra ha dato uno nome e un cognome a quasi tutti i civili. L’ha fatto iniziando a sfogliare i registri scolastici, i documenti parrocchiali e della leva obbligatoria. «Grazie agli archivi scolastici di Sant’Osvaldo ho trovato i nomi e le identità delle vittime». Un caso per tutti conferma la complessità dell’operazione: «Nello scoppio morì una madre e lasciò tre bambini orfani». Vinciguerra ha ricostruito anche quel nucleo familiare. Sono sempre i numeri a rimarcare l’assurdità della guerra: se nel 1917 alla scuola elementare di Sant’Osvaldo erano iscritti quasi 350 bambini, due anni dopo se ne contavano solo 250. Sfogliando queste pagine, lo storico ha compilato pure la mappa della profuganza perché «i genitori alla riapertura dell’anno scolastico dichiaravano la provenienza». Domenica davanti alla lapide dei caduti per lo scoppio sarà deposta una corona e inaugurata una lapide dedicata ai militari.


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