Un parto più intimo come a casa propria Aprirà a marzo la casa-maternità
Nicoletta Simoncello
Da marzo anche Udine avrà la sua casa della maternità. Sita in via Cormor Alto, al civico 134, sarà la prima in città e la seconda in regione.
L’idea di fornire una risposta a tutte quelle donne che desiderano dare alla luce il proprio bambino in un ambiente più intimo rispetto all’ospedale, come quello domestico appunto, è di un pool di sei professioniste tra ostetriche, operatrici della nascita ed educatrici perinatali riunite ne “La Casa di Caterina”. Anche se ancora poco diffusa nel nostro paese, l’opzione di partorire nella propria dimora o in una casa maternità viene scelta da sempre più persone.
Oltre che la presenza di un’ostetrica specializzata, sono due le condizioni che regolamentano questo tipo di iniziativa: per poter partorire nella casa della maternità, che deve trovarsi a non più di trenta minuti dall’ospedale più vicino, è necessario che si tratti di una gravidanza fisiologica a basso rischio. Il parto, quindi, non deve presentare pericoli, come la posizione podalica del bambino.
Aperta da Caterina Di Cosimo, ostetrica con oltre dieci anni di esperienza, la prima casa di maternità in Friuli Venezia Giulia è stata aperta a Trieste nel dicembre 2016. A Udine, invece, il taglio del nastro si terrà, con tutta probabilità, l’8 marzo. Accanto a Di Cosimo ci sono anche Ilaria Emiliani, operatrice della nascita, Elena Petris, educatrice perinatale e pedagogista, Chiara Tosolini, ostetrica, Chiara Cipolletta, ostetrica, e Andrea Petrolli, neuropsicomotricista. «La casa della maternità, nata per offrire un’alternativa all’ipermedicalizzazione del parto, è dotata di tutte le accortezze per creare un ambiente intimo e familiare, totalmente in sicurezza, per rispondere ai bisogni e ai desideri della donna – spiega Elena Petris –. Si potrà partorire anche in acqua e la neomamma verrà ospitata per tutti i giorni che vorrà. A Trieste questa è una realtà abbastanza affermata mentre qua a Udine, per il momento, lo è molto meno – conclude la pedagogista –. E proprio per questo motivo il nostro team sta cercando di agevolare questo cambiamento culturale». —
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