Un altro boato scosse l’area di San Rocco
L’evento rievocò i fantasmi del passato «Mia madre bloccata, ricordava Sant’Osvaldo»

A mezzo secolo di distanza dallo scoppio di via San Rocco, il cronista del Messaggero Veneto di allora racconta come senza internet e telefonini si rincorrevano le notizie
Ci sono date ed eventi scolpiti per sempre nella memoria di ognuno. L’11 settembre 2001, a esempio, chi non ricorda dove si trovasse o che cosa facesse il giorno in cui a New York crollavano le torri gemelle? A me accade anche con il 15 novembre 1967, quando uno scoppio devastò San Rocco. Erano le 8 e mezza circa – le 8.28 scoprirò poi sfogliando i rapporti dell’inchiesta giudiziaria – stavo uscendo di casa per andare all’appuntamento con i Fratelli della vedova, barbieri in via Pozzuolo, a due passi dal mitico Barbon. All’improvviso, un boato, un’esplosione la cui eco si prolunga per interminabili secondi. Il pavimento trema, i vetri tintinnano come scossi da una violenta folata di vento. Mia madre lancia un grido che le si soffoca in gola e si accascia sulla sedia. Solo più tardi mi renderò conto che in un istante era stata chiamata a fare i conti con i fantasmi del passato, con lo scoppio di Sant’Osvaldo, che 50 anni prima l’aveva sorpresa sedicenne a vagare sperduta in mezzo ai resti della casa paterna, sotto una cappa nera e acre di fumo e di polvere, fra lamenti strazianti di uomini e di bestie. Un fungo nero e minaccioso si alza dietro il maglio di Toffolutti, a un tiro di schioppo da via San Pietro, da casa mia. Corro al telefono. Uno, due, tre tentativi. Finalmente i vigili del fuoco: «C’è stata un’esplosione a San Rocco, ci stiamo andando». Chiamo il giornale, allora ancora in via Carducci. La linea, disturbata, cade in continuazione. In qualche modo riesco a urlare: «Informate il direttore, mobilitate i fotografi».
Riesco ad arrivare sul posto con ambulanze, autobotti e volanti, prima che vigili urbani e forze di polizia blocchino le strade. Scena dantesca, l’aria quasi irrespirabile, gli occhi e la gola che bruciano. Raccolgo notizie, nomi, cause. Mi raggiungono i colleghi del Messaggero Veneto, i “cugini” del Gazzettino e un paio di inviati dei quotidiani nazionali di stanza a Venezia. «In fretta, in fretta, via di corsa, facciamo un’edizione straordinaria!», mi viene incontro Franco Giliberto, il capocronista di allora. Il materiale abbonda, sulle tastiere delle vecchie macchine di via Carducci ci affanniamo Mario Blasoni, Paolo Schinko, io e altri colleghi. I pezzi escono di getto, il direttore Vittorino Meloni strappa i fogli dai rulli, dà un’occhiata e poi manda tutto a comporre in tipografia. La macchina del giornale è in moto, i testi diventano piombo, le fotografie cliché. Ne manca una, quella di una delle 4 vittime. So dove trovarla, ma la mia auto è impantanata a San Rocco. Mi soccorre con la sua storica Fiat 500 Gianni Cotterli, un pallino per l’arredo e un amore per il giornalismo. Troviamo la foto in tempo per la “straordinaria”. Il giornale va a ruba. Allora non c’erano telefonini e internet, la città prese d’assalto le edicole.
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