Ugovizza rinasce, era un paese fantasma

MALBORGHETTO. Dieci anni fa la piana di Ugovizza era sommersa dal fango. Travolta dai detriti riversati sull’abitato dal rio Uque la vallata piangeva i suoi morti. Una furia indescrivibile alimentata dalle forti piogge e dalle acque che l’uomo pensava di aver domato ingabbiando i rii in canali di cemento si scagliò quel pomeriggio di fine agosto sulla frazione di Malborghetto. Uno scenario di distruzione si presentò agli occhi dei soccorritori e degli abitanti che anziché cedere al pianto reagirono con grande coraggio a quella catastrofe ambientale.
Tra gli edifici squarciati dove l’acqua aveva travolto anche i più piccoli ricordi conservati con meticoloso ordine negli arredi, le persone guardavano come attonite senza versare una lacrima, fiduciose che il giorno dopo sarebbe stato migliore. Oggi, a dieci anni di distanza, il volto di Ugovizza non è più lo stesso, l’alluvione si è portato via la patina del tempo cambiando addirittura il panorama.
L’autunno del 2003 fu drammatico per quelle genti di montagna. Il giorno dopo il disastro Ugovizza era un paese fantasma. Isolato dal resto del mondo, con gli abitanti sfollati nella caserma Lamarmora di Tarvisio, si vedevano solo case vuote distrutte dalla potenza dell’acqua. Tra l’eco delle frane che continuavano a violentare le montagne, l’abitato fu costretto a fare spazio al fango che in altezza aveva raggiunto qualche metro. «Ce la faremo, a Pasqua torneranno a suonare le campane» ripeteva don Mario Gariup, con in mano le chiavi della chiesa, del campanile e del cimitero perché l’acqua non aveva risparmiato neppure i luoghi sacri. Il rio Uque aveva trascinato a valle tronchi e tutto quello che aveva trovato lungo il percorso, compresi i ponti in cemento che accavallavano i rii: «I nostri vecchi li costruivano in legno - ricordava qualcuno - perché sapevano che di fronte a un alluvione avrebbero fatto meno danni».
In quei giorni gli occhi degli abitanti di Ugovizza erano tutti rivolti verso l’alto, guardavano il fronte franoso che ancora incombeva sulle loro teste e che i tecnici della protezione civile si preparavano a far brillare da lì a poco. Una carica di 25 chili di esplosivo mandò in mille pezzi il grosso masso rimasto in bilico sulla Cima Secca, mentre altri tecnici valutavano le condizioni statiche degli edifici.
Conclusi i sopralluoghi gli abitanti di Ugovizza non persero tempo, iniziarono a spalare il fango in quel che restava delle loro case. Giorno dopo giorno la vallata è risorta, ma non dimentica soprattutto le vittime dell’alluvione, Gertrude Schnabl e Bruno Urli di Malborghetto, per i quali prega a ogni anniversario.
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