Udine, dichiarato il fallimento della boutique Prevedello

UDINE. Anni fa, quando l’economia viaggiava ancora con il vento in poppa e l’avvento della grande distribuzione era appena cominciato, nessuno se lo sarebbe immaginato. E invece, anche per la storica “Boutique Prevedello srl” di piazza Matteotti è scoccata l’ora del fallimento. Un epilogo scongiurato sino all’ultimo a suon di tagli, impegno e restyling commerciali, ma che alla fine lo stesso amministratore unico, Tommaso Prevedello, ha deciso di imboccare.
Un’istanza in proprio, quindi, quella giunta sui tavoli del tribunale di Udine a firma dell’avvocato Francesco Gabassi, che ha assistito l’amministratore.
La sentenza di dichiarazione di fallimento è stata emessa qualche giorno fa, all’esito della Camera di consiglio nella quale il collegio, presieduto dal giudice Francesco Venier (a latere i colleghi Andrea Zuliani e Lorenzo Massarelli), ha nominato Zuliani come giudice delegato e Monica Tuan quale curatore del procedimento. Lo stato passivo della società sarà esaminato nell’udienza del 24 giugno.
Che gli affari non andassero a gonfie vele si era intuito già nel febbraio di un anno fa, quando la famiglia aveva avviato una svendita totale «per chiusura dell’attività» e passato il testimone ad altro gestore. E cioè nelle non meno qualificate mani di “Donna Bugatti srl”.
Da qui a portare i libri in tribunale, però, ce ne vuole. Anche perchè l’operazione di cessione aveva consentito all’amministratore di saldare buona parte dei debiti aperti. Pagati tutti i Tfr dei dipendenti e alcune altre voci di bilancio, rimanevano da distribuire meno di 35 mila euro, per lo più a fornitori esteri che con Prevedello avevano lavorato a lungo e che difficilmente avrebbero fatto la voce grossa per ottenere subito quanto di competenza, e al servizio di vigilanza privata notturna.
A dare il colpo di grazia al negozio e, con esso, a 80 anni di prestigiosa presenza in città è stato altro. E a spiegarlo è la stessa relazione con cui l’amministratore, sfiancato dalle spese, ha preferito presentarsi in tribunale.
È successo in novembre, quando l’Agenzia delle entrate ha notificato a Prevedello un avviso di accertamento per una somma pari a poco più di 89 mila euro, conseguente alla diversa valutazione economica emersa all’esito dei rituali Studi di settore relativi ai ricavi del 2011. Pur potendo presentare opposizione alla Commissione tributaria e, forse, anche gettare le premesse per una nuova ripartenza, a quel punto l’amministratore ha ritenuto più conveniente alzare bandiera bianca e avviare la procedura di autofallimento.
L’origine del male, invece, va cercata nel 2007, quando anche Prevedello finisce nella spirale della crisi del settore dell’abbigliamento di lusso che, nel settembre del 2009, la costringerà a chiudere il punto vendita di via delle Erbe e a vendere l’immobile, per garantirsi liquidità e pagare i debiti fin lì maturati.
L’operazione, tuttavia, non dà gli esiti sperati e – come evidenzia l’istanza – da quel momento comincia il piano “salvezza”. Deciso a tenere duro e a salvaguardare una realtà commerciale che, fino alla crisis, aveva lavorato decisamente bene, Tommaso Prevedello intraprende una serie di misure di contenimento: meno personale, ridimensionamento dei costi d’impresa, ricerca di brand a prezzi più abbordabili, ma pur sempre di nicchia.
La cornice in cui si muove, però, è tutt’altro che favorevole: da una parte, c’è la «spietata concorrenza» di negozi d’abbigliamento di fascia più bassa, aperti anche a poca distanza dal suo, e che cominciano a «svalutare e svilire prodotti di alta qualità» come quelli messi in vendita nei suoi due piani di boutique; dall’altra, c’è la difficoltà nel rimpiazzare la sua migliore commessa, di cui «si era dovuto privare nel momento topico» e che «grazie alla sua pluriennale esperienza» aveva saputo gestire meglio di chiunque altro i clienti.
Già, perchè a essere chic era anche l’atmosfera che si respirava nel negozio di piazza Mattotti. È lì che, nel 1935, Giuseppe Prevedello aveva iniziato a commerciare tessuti di alta gamma, riuscendo a impiegare fino a cinquanta persone, tra sartoria e punto vendita.
A ricordare i fasti delle origini, poco più di un anno fa in un’intervista al nostro giornale, era stato il figlio Gianluigi, che qualche anno prima aveva a sua volta ceduto il timone al figlio Tommaso. Negli anni Cinquanta, alla passione per le stoffe e la moda si era affiancata quella per le pellicce. Vent’anni dopo erano stati aperti la prima boutique, a fianco della sartoria, e altri due negozi in centro. Un piccolo impero spazzato via dalla crisi.
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