Udine, denuncia Coldiretti: il latte dall’estero uccide il made in Italy

UDINE. Sono pronti a portare “la guerra del latte” in tutte le piazze dei capoluoghi del Friuli Venezia Giulia, se l’incontro fissato per questa mattina al Ministero non dovesse dare risposte positive. Loro sono gli allevatori della Coldiretti, che ormai sono esasperati.
Una cinquantina di loro hanno organizzato un presidio con gazebi e bandiere in piazzetta Lionello, in pieno centro a Udine. Obiettivo: far conoscere ai cittadini, attraverso un fitto volantinaggio, le motivazioni della mobilitazione.
E la petizione per la qualità e il latte italiano è stata firmata da tanta gente, anche dai politici, a partire dal sindaco di Udine Furio Honsell. Nel mirino le mancate etichettature che mettono in ginocchio il Made in Italy.
«La gente deve sapere – spiega il direttore dei coltivatori diretti del Friuli Venezia Giulia Danilo Merz - che tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta».
Altri numeri danno dimensione della “concorrenza sleale” nei confronti dei produttori italiani. Ogni anno nel nostro Paese, infatti, vengono consumati 200 milioni di quintali di latte e suoi derivati (yogurt, latticini e formaggi), mentre la produzione italiana è di poco della metà, 110 milioni.
«Il rimanente – precisa Merz - sono prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa, che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità. Un chilogrammo di cagliata usata per fare formaggio sostituisce circa dieci chili di latte e la presenza non viene indicata in etichetta. Oltre a ingannare i consumatori».
«L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, ma anche di quello impiegato in yogurt, latticini e formaggi, non consente – aggiunge ancora il direttore di Coldiretti - di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali e con esse il lavoro e l’economia del vero made in Italy».
C’è poi la questione prezzi «dietro la quale – secondo Coldiretti – c’è un disegno per contrarre la produzione italiana, a vantaggio dei diretti concorrenti».
Nonostante il Ministero abbia recentemente stabilito per legge che il costo di produzione del latte sia all’incirca di 40 centesimi al litro, il prezzo pagato dalle multinazionali agli allevatori per il “latte spot”, ovvero quello che finisce in cisterna e poi all’industria, si aggira sui 31-32 centesimi. Cioè ogni stalla perde 10 centesimi per litro prodotto.
«E’ assurdo. Si paga per lavorare – tuona Merz – . Chiediamo l’applicazione della legge. Il consumatore deve sapere che le multinazionali qui applicano il prezzo tedesco, che ha costi di produzione inferiori, ma poi sui banchi frigo dei supermercati il latte di qualità in Germania costa 89 centesimi al litro, da noi addirittura 1,65 – 1,70».
«In un anno – conclude Merz – il prezzo alle stalle è calato del 20%, mentre la grande distribuzione ha mantenuto i prezzi inalterati. La domanda è a questo punto: chi guadagna alle spalle di allevatori e consumatori?».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto