Uccise l’amico, «13 anni sono troppi»

La difesa di Viktor Cancian si batte per una riduzione di pena. Opposta la visione dei fatti dei familiari della vittima
FOTO MISSINATO PARCO DEL SEMINARIO OMICIDIO PN
FOTO MISSINATO PARCO DEL SEMINARIO OMICIDIO PN

PORDENONE. Omicidio al parco del seminario: è il giorno dell’appello per il ventenne pordenonese Viktor Cancian. L’accusa punta a un inasprimento della pena grazie al riconoscimento dell’aggravante della premeditazione. La difesa a consolidare l’assenza della premeditazione per ottenere ancor meno dei 13 anni e 8 mesi di reclusione comminati in primo grado con il rito abbreviato. Nel mezzo la parte civile, la famiglia della vittima, che non aveva fatto mistero di una pena, a suo giudizio troppo lieve.

L’appuntamento in Corte d’assise d’appello (presidente Piervalerio Reinotti, due giudici e sei non togati) e alle 9 e, molto probabilmente, la sentenza arriverà poche ore dopo. Tanto servirà per ridiscutere il delitto, avvenuto il 9 settembre 2010 quando Matteo Salata, ventenne di San Vito al Tagliamento, venne ucciso a coltellate.

In primo grado il pubblico ministero Annita Sorti aveva chiesto trent’anni di carcere per l’imputato. «Fu omicidio premeditato», sosteneva la pubblica accusa chiedendo il massimo della pena, uno scalino sotto l’ergastolo, “sconto” per effetto del rito abbreviato. Ma l’aggravante della premeditazione era stata esclusa dal giudice per l’udienza preliminare Alberto Rossi, che altresì aveva riconosciuto le attenuanti della giovane età, dell’incensuratezza, della collaborazione con gli inquirenti, della confessione e dell’infanzia politraumatizzata.

Faranno leva sulla legittima difesa putativa e sulla riduzione della pena per effetto delle attenuanti generiche in misura piena o comunque maggiore rispetto a quanto concesso in primo grado gli avvocati Franco Vampa e Roberto Lombardini, difensori dell’imputato.

Nel mezzo la parte civile, i familiari della vittima. Si sono costituiti la madre, Anna Tesolin, la sorella minore, le zie Chiara e Lucia Tesolin, i nonni materni Giovanni Battista Tesolin e Angela Fratter. «Rispettiamo la sentenza, ma non condividiamo le conclusioni in diritto del giudice - avevano spiegato i loro legali subito dopo la sentenza, gli avvocati Fabio Pinelli e Giovanni Caruso - né sul mancato riconoscimento della premeditazione, né sulle circostanze attenuanti generiche. Non le meritava, per il comportamento processuale non corretto: l’imputato ha cercato di provocare una stortura, una menzogna clamorosa, non ha mai mostrato un pentimento serio e autentico, né pietà per la vittima». Considerazioni che molto probabilmente riproporranno oggi.

La battaglia legale ricomincia oggi e ricomincia da un dato: 13 anni e 8 mesi di reclusione. Legge alla mano si potrebbe arrivare a una conferma di pena se non, addirittura, a una ulteriore, magari lieve, diminuzione.

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