Troppi morti e contagiati nelle case di riposo: anche la Procura di Udine indaga

UDINE. Tanto tuonò, che piovve. Nè poteva essere diversamente, vista la strage di anziani che nel mondo assediato dalla pandemia ha listato a lutto anche il Friuli. I morti risultati positivi al Covid-19 nelle case di risposo della provincia di Udine sono stati 45 e la conta, a giudicare dalle statistiche quotidiane, non è sicuramente finita. E, allora, di fronte a un bilancio senza precedenti, la magistratura ha deciso di scendere in campo e cercare di dare una risposta a ciò che tutti, dentro e fuori regione, si chiedono: si poteva evitare?
Un’indagine di natura conoscitiva: così il procuratore della Repubblica di Udine, Antonio De Nicolo, ha definito l’attività avviata in questi giorni in tandem con il suo aggiunto, la collega Claudia Danelon. Di fatto, un’inchiesta giudiziaria a tutti gli effetti, ma, al momento, avviata a carico di ignoti e senza ancora l’indicazione di una o più ipotesi di reato. Saranno gli elementi che la polizia giudiziaria raccoglierà nel corso degli accertamenti a suggerire la definizione del puzzle. E capire così se proseguire, iscrivendo i primi nomi sul registro degli indagati e formulando la o le imputazioni, oppure archiviare.
«Abbiamo ritenuto doveroso aprire un’indagine conoscitiva sulle case di riposo nelle quali è stato registrato un numero elevato di decessi – spiega De Nicolo –. Lo abbiamo fatto d’iniziativa e non su input di qualche segnalazione, che pure nel frattempo sono cominciate ad arrivare, con l’obiettivo primario di comprendere le dimensioni del fenomeno e la causa della morte di ciascun ospite».
Spinti dall’anomalia di un evento, quindi, dietro il quale potrebbero nascondersi colpe, omissioni o violazioni. Per esempio, continua il capo della Procura, «carenze dal punto di vista assistenziale, medico o infermieristico, che possano avere inciso sulla diffusione del contagio». O, ancora, eventuali violazioni alle misure di contenimento imposte dai Dpcm, dal distanziamento e la quarantena all’utilizzo dei presidi. La formulazione di un eventuale capo d’imputazione partirà da qui e potrà spaziare dal reato di epidemia a quello di omicidio colposo plurimo.
«Non è nostra intenzione puntare il dito contro qualcuno – tiene a precisare De Nicolo –. Siamo consapevoli di trovarci in presenza di un virus talmente nuovo, da dividere ancora gli stessi esperti e da non sapere neppure chi e quante siano le persone positive asintomatiche. Al contrario, preferiamo adottare un surplus di prudenza e lavorare con la massima tranquillità – continua –, per evitare a chi, nel campo sanitario così come in quello assistenziale, ogni giorno si prodiga per salvare e aiutare vite umane, di sentirsi sotto accusa».
Da qui, anche il riserbo mantenuto sulle case di riposo finite nel mirino dei controlli. Lui ovviamente non lo dice, ma in cima alle attenzioni della polizia giudiziaria figurano già la “Rovere Bianchi” di Mortegliano e la “Matteo Brunetti” di Paluzza, entrambi focolai epidemiologici che con il lungo elenco di nomi di nonni deceduti - 19 nella prima e 12 nella seconda - hanno fatto e continuano a fare paura. I casi più abnormi, insomma, anche in termini di contagio, come accaduto in altre parti d’Italia, a cominciare dalla Lombardia e dal Veneto.
E, ancora più vicino, nello stesso Friuli Venezia Giulia, dove i fari della magistratura inquirente sono stati accesi anche a Pordenone e Trieste. Nel capoluogo giuliano l’inchiesta a carico dell’ospizio “La Primula” ha già portato alla sua chiusura e alla decisione dell’Asugi di sospenderne l’autorizzazione al funzionamento.
A Pordenone, la Procura diretta da Raffaele Tito ha aperto a sua volta in questi giorni un fascicolo a carico di ignoti per l’ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo per fare luce sul decesso di una ventina di anziani tra la casa di riposo di Castions di Zoppola e l’hospice di San Vito al Tagliamento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto