Tangenti Anas, Vidoni assunse l’amico della Dama Nera

UDINE. Non soltanto “bustarelle”. Per garantirsi lo sblocco dei crediti milionari che la sua impresa vantava dall’Anas, Giuliano Vidoni, l’imprenditore friulano di 72 anni allora amministratore con il fratello Marco del colosso delle costruzioni di Tavagnacco dichiarato fallito dal tribunale di Udine con sentenza del 28 ottobre scorso, si spinse fino al punto di assumere un amico della “Dama Nera” alla “Firmo Sibari”, società consortile riconducibile al gruppo “Vidoni Roma”, a sua volta in precarie condizioni finanziarie.
Era il febbraio 2015 e la decisione, confermata nel corso di conversazioni intercettate al telefono e non, non passò inosservata agli inquirenti romani, da tempo al lavoro per smascherare il presunto «sistema corruttivo» costruito all’interno dell’«ufficio mazzette» dell’ente autostradale.
Ed è anche di questo che Vidoni dovrà difendersi davanti al giudice dell’udienza preliminare di Roma, a cui i pm Sabina Calabretta e Mariarosaria Guglielmi hanno presentato istanza di rinvio a giudizio per tutte le persone coinvolte nella maxi-inchiesta sulle tangenti all’Anas.
La data dell’udienza non è stata ancora comunicata agli imputati, che restano 40, tra funzionari e imprenditori accusati a vario titolo di associazione per delinquere, corruzione, turbativa d’asta, voto di scambio, truffa e abuso d’ufficio, e cui si aggiungono 15 società (Vidoni compresa) chiamate a rispondere, in virtù del decreto legislativo n.231 del 2001, della responsabilità penale all’azienda per i reati commessi da propri amministratori.
Finito agli arresti domiciliari il 22 ottobre scorso e rimesso in libertà il 16 marzo, Vidoni è accusato di avere ceduto ai ricatti di Antonella Accroglianò, altresì detta “Dama Nera”, la dirigente che, da responsabile del coordinamento tecnico-amministrativo dell’Anas, avrebbe gestito il giro di mazzette. Un “do ut des” finalizzato non soltanto ad accorciare i tempi di pagamento dei corrispettivi dovuti agli appaltatori, ma anche a ottenere quante più utilità possibile.
Proprio come l’assunzione di Luigi Palmieri, fratello di Gianfranco, con cui la Accroglianò era legata da un rapporto di amicizia e di interesse, avendogli chiesto – scriveva l’autunno scorso il gip nell’ordinanza delle misure cautelari – appoggio politico a favore del fratello Galdino in occasione delle consultazioni elettorali per il Consiglio regionale della Calabria. Un posto a Luigi, quindi, in cambio di consensi a Galdino. Il tutto, a spese di Vidoni.
Fin qui la ricostruzione accusatoria, visto che nella prospettazione offerta dalla difesa anche questo episodio conforterebbe la tesi dell’imprenditore in crisi messo spalle al muro da un sistema di cui, come dichiarato dallo stesso Vidoni, «ho finito per diventare vittima». Oltre 275 milioni di euro il valore degli appalti che il gruppo friulano si era aggiudicato con l’Anas tra il 2006 e il 2014.
«Fu costretto a prenderselo in azienda – afferma l’avvocato Luca Ponti –. L’assunzione non si spiegherebbe altrimenti, visto che la Firmo Sibari era già in difficoltà e con personale in esubero».
Altrettanto dicasi per i 150 mila euro che i pm capitolini gli contestano di avere consegnato, in tre tranches, alla Dama Nera. Imputato in concorso con la Accroglianò, i dirigenti Sergio Lagrotteria e Oreste De Grossi, e il funzionario Giovanni Parlato, Vidoni avrebbe oliato il sistema, per assicurarsi «l’erogazione, in via privilegiata rispetto alle altre imprese», dei soldi che gli spettavano da contratto.
Tesi a sua volta respinta dal difensore, secondo cui non di corruzione si deve parlare, bensì di concussione. Una via di fuga, quella dell’imprenditore friulano - che ha ammesso il pagamento -, imboccata insomma «al solo scopo di salvare l’attività», rimasta impantanata nelle secche della burocrazia romana e di un meccanismo di scorciatoie e raccomandazioni tutt’altro che lecite.
In attesa di decidere quale strada processuale adottare - se il rito ordinario o quello alternativo del processo abbreviato o del patteggiamento -, la difesa dovrà ora sbrogliare anche la questione relativa alla società, a sua volta trascinata davanti al gip, ma nel frattempo fallita.
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