Taibo II: il risveglio latino-americano è l’antidoto alla crisi

PORDENONE. Fort Alamo nell’immaginario di noi provinciali Hollywood dipendenti è pagina gloriosa di quel trionfo delle libertà che sono gli Stati Uniti, fissato nell’immaginario da quel David Crocket che brandisce il fucile su un mucchio di cadaveri a estrema difesa di Alamo e della sua indipendenza prima di finire sotto il fuoco nemico. A riportare quel santino, parto soprattutto del faraonico film di e con John Wayne (The Alamo, 1956) a quello che realmente rappresenta ci pensa un libro, Alamo. Per la Storia non fidatevi di Hollywood, ultima fatica di quel cantore del continente latino americano che è lo scrittore messicano Paco Ignacio Taibo II, ieri a Pordenone dove è, si potrebbe dire, di casa.
Alamo racconta con la precisione di un’indagine storica i come e i perché della battaglia di Fort Alamo, 1836, tra i messicani e duecento coloni texani per l’indipendenza del Texas. Episodio che per gli Usa rappresenta il mito che ha dato senso al concetto di nazione. «Mentre – ha raccontato Taibo – anche protagonista con Gianni Minà di un incontro assai affollato sul tema del Rinascimento dell’America latina – per il Messico e stata solo una vittoria da riportare senza grande enfasi. Spesso una menzogna – ha sottolineato – è solo una verità raccontata male, ma in questo caso la grande menzogna nascondeva la verità. E la verità e che quella battaglia fu originata non tanto da una voglia di indipendenza quanto dal voler imporre anche sul territorio texano lo schiavismo e poter speculare su quei territori, come infatti avvenne».
«Il mio intento era di smontare il mito americano della libertà e di mostrare la natura di mito essenzialmente militare e profondamente imperialista». Da qui si e sviluppata la conversazione con Gianni Minà, insignito del premio Friuladria Testimoni della storia, da come cioè il Rinascimento dell’America Latina parta proprio da un rifiuto del colonialismo delle grandi multinazionali americane.
«Dieci anni fa l’America Latina – ha detto Minà – viveva nella disperazione, nell’oppressione. Da qualche anno si vede una luce, il Brasile che si accinge a diventare la quinta potenza del mondo, l’Argentina che è riuscita a pagare il suo debito e a riappropriarsi il petrolio, Bolivia ed Ecuador, (al cui presidente non a caso l’inventore di WikiLeaks si è rivolto per chiedere asilo politico), che hanno riscritto la costituzione in senso moderno». Segnali che invece Taibo non vede nel suo Messico, dove solo qualche mese fa il governo conservatore ha vinto le elezioni «grazie al fatto che sono stati comperati 5 milioni di voti, e con soldi non certamente puliti».
Ma guai a rassegnarsi, a lasciarsi travolgere «dal sudicio balletto delle dichiarazioni di banche e agenzie di rating, le responsabili di questa sciagurata crisi». In questo senso l’America Latina ci insegna a reagire. Minà ha citato Cuba che «ha saputo mantenere viva la fiamma dell’utopia attraverso la solidarietà». Un mito, l’ha incalzato Taibo, ma che ha funzionato, esattamente come «il mio mito del cavallo di Pancho Villa, che ha galoppato per sette leghe con una pallottola in corpo, e che io richiamo alla mente quando non voglio farmi sopraffare dalla crisi che stanno rovinando il mondo».
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