Suicidio in carcere a Tolmezzo: è il secondo in venti giorni

Polemiche dopo il suicidio, nel carcere di Tolmezzo, di un imprenditore veneziano ritenuto il mandante di un tentato duplice omicidio. La notizia giunge a venti giorni dal suicidio, avvenuto nel medesimo penitenziario, di un ragazzo romeno di 24 anni. Intanto è cominciata un'indagine interna.
TOLMEZZO.
Aveva protestato la propria innocenza per otto mesi e l’altra sera, forse schiacciato dalla disperazione, si è ucciso infilandosi un sacchetto di plastica in testa: è morto così, nel carcere di Tolmezzo, l’imprenditore navale veneziano Bruno Vidali, 46 anni. L’uomo era finito dietro le sbarre otto mesi fa, al termine delle indagini su un tentato duplice omicidio avvenuto nella Laguna di Venezia. Vidali era infatti sospettato di aver ordinato un delitto al pregiudicato Alessandro Rizzi (49), che poi aveva confessato chiamandolo in causa.


Vidali si trovava nel penitenziario friulano da circa due mesi, dopo essere stato in quelli di Treviso e Venezia, non era sottoposto a regimi restrittivi particolari ma aveva inutilmente chiesto di poter incontrare i propri familiari. Inutili anche le richieste dei legali, Antonio Franchini e Marco Vassallo, di remissione agli arresti domiciliari. In una nota congiunta, i due avvocati lo definiscono «una vittima dello Stato e del suo sistema giudiziario».


I due avvocati ricordano che Vidali, «sostanzialmente incensurato» e accusato di essere il mandante di un tentato omicidio eseguito da un pregiudicato nella Laguna di Venezia, «ha sempre disperatamente proclamato la propria innocenza, via via meravigliato e attonito per non essere creduto». «Era una persona intelligente e mite - prosegue il testo - con una bella famiglia che ha vissuto con partecipazione e disperazione la sua vicenda umana e processuale. Egli è una vittima della giustizia. Si è tolto la vita perchè non ha retto l’angoscia, la solitudine, la perdita di fiducia in un sistema giudiziario - sostengono i due legali - che lo ha lentamente, ma inesorabilmente, stritolato».


L’episodio per il quale Vidali era indagato risale al 25 giugno 2008. L’aggressione armata avvenne tra le isole di Sant’Andrea e di Sant’Erasmo, nella laguna a nord di Venezia. Da un gommone vennero esplosi numerosi colpi di pistola che ferirono Maurizio Zennaro e Massimo Zanon, noto anche perchè fratello di un operaio morto pochi mesi prima nello scafo di una nave ancorata nel porto di Venezia.


Secondo il racconto di Rizzi, Vidali gli avrebbe consegnato l’arma ordinandogli di «punire» Zennaro con il quale avrebbe avuto un contrasto per debiti di denaro non onorati, e rancori durati oltre un decennio. Accuse che l’imprenditore, titolare a Venezia del cantiere navale “I nuovi moschettieri”, aveva sempre respinto. Rizzi aveva ottenuto l’attenuazione della misura cautelare, con la detenzione domiciliare, richiesta che invece non è mai stata accolta per Vidali.


L’associazione “Ristretti Orizzonti” ha reso noto che con quello dell’imprenditore salgono a 63 i suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. L’organismo sottolinea «la necessità e l’urgenza di un Osservatorio permanente sulle morti in carcere» e parla della segnalazione di un altro decesso dietro le sbarre: un detenuto morto nella Casa di reclusione di Isili, in provincia di Cagliari, «in circostanze che ancora devono essere chiarite».


«Bisogna che tutti, chi ci lavora dentro e chi le guarda da fuori, siano convinti che le carceri devono essere trasparenti, e che una società che, quando punisce, sa anche essere mite, attenta e rispettosa dei diritti dei condannati è senz’altro una società più sicura», sostiene “Ristretti Orizzonti”, che chiede che nell’Osservatorio siano «chiamate persone che hanno prestigio, competenza e voglia di regalare un po’ del loro tempo all’obiettivo di ridare dignità alle galere».

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