Statua di Vittorio Emanuele Ecco le lettere di Chiaradia
Le missive erano nella canonica di Caneva, “svuotata” per eseguire alcuni lavori Le ha trovate lo storico Lucian Borin. Saranno messe a disposizione degli studiosi

CANAEVA . I traslochi riservano sorprese. È stato così anche per quello della canonica di Caneva. Per rendere antisismico l’immobile e ridistribuirne i vani interni, quanto contenuto, con il prezioso archivio storico, è stato trasferito in altra struttura. Luciano Borin, figura di primo piano della Pro Castello con la passione per la storia locale, incaricato di conservare l’archivio, ha fatto una preziosa scoperta.
Si tratta di alcune lettere dallo scultore canevese Enrico Chiaradia, autore della statua equestre di re Vittorio Emanuele II all’Altare della Patria. Appassionati e studiosi potranno consultare i preziosi documenti, una volta terminati i lavori nella canonica.
Laureato ingegnere a Padova, Enrico Chiaradia raggiunge la fama di scultore realizzando opere in noti palazzi veneziani e per l’esecuzione di monumenti risorgimentali, famoso quello di Cavour a Padova. Le sue capacità artistiche sono testimoniate anche a Caneva, nella parrocchiale di San Tomaso, da una sua statua in marmo della Madonna del Rosario.
La grande occasione per affermarsi si presenta a Enrico Chiaradia con uno dei concorsi indetti per completare l’Altare della Patria. Tutto era iniziato dopo la scomparsa nel 1878 di re Vittorio Emanuele II, con l’intento di rendergli omaggio quale protagonista dell’unità nazionale e per celebrare il nuovo regno d’Italia proclamato nel 1861.
Dopo alcune fasi interlocutorie è solo nel 1883 che il governo di Agostino Depretis, in accordo con il re Umberto I e Casa Savoia, incarica l’architetto Giuseppe Sacconi di costruire un grandioso monumento per celebrare la Patria e re Vittorio Emanuele II, scomparso da un lustro.
Le polemiche iniziano subito per l’esproprio dei terreni sul Campidoglio dove deve sorgere il monumento. Questioni più speculative che artistiche. Alcuni anni dopo Enrico Chiaradia concorre per l’edificazione della statua equestre dell’Altare della Patria. I suoi bozzetti vengono scelti dalla commissione reale.
Quel concorso, vinto, avrebbe dovuto donare a Enrico Chiaradia fama, prestigio e ricchezza. In realtà la sua esperienza romana sarà tutt’altro che edificante.
Il giornalista Nino Roman sul periodico
Cronache del Livenza,
nel 1986 ricostruisce la vicenda romana di Chiaradia. «L’architetto Sacconi che dirigeva i lavori del Vittoriano – scrive Roman – aveva fatto arrivare dagli Stati Uniti il suo amico scultore Nicola Cantalamessa per partecipare al concorso e vincerlo». Chiaradia incontra subito tante difficoltà. «Osteggiato da Sacconi e Cantalamessa – nota Roman – inviso a una turba di colleghi invidiosi, ministri scettici e fornitori poco onesti, Enrico è alla mercè delle varie commissioni romane per il monumento». Ognuno vuole imporre il proprio punto di vista. Chiaradia fa e disfa continuamente il re a cavallo: in feluca e in cimiero, con la spada sguainata e riposta, il destriero al galoppo e al trotto, slanciato arabo, muscoloso irlandese.
Esasperato dalle continue richieste Chiaradia cerca di ispirarsi ai monumenti esistenti, da Cangrande della Scala al Marco Aurelio in Campidoglio. E man mano che si susseguivano i bozzetti, avanzava l’esaurimento nervoso. Enrico Chiaradia non vedrà la sua statua equestre compiuta.
Muore infatti il 3 agosto 1901 tormentato dai dubbi dovuti alle malcelate ambizioni altrui. La grande statua verrà colata in bronzo tre anni dopo la sua scomparsa.
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