Soldi e giochi di potere, i misteri della moschea di Pordenone

PORDENONE. Perché non manifestano contro il terrorismo? Perché non ospitano profughi? Perché hanno accolto discutibili predicatori erranti senza battere ciglio?
Perché difendono i macedoni compromessi, secondo la Procura, con i combattenti dell’Isis? Viaggio, in pillole, all’interno della complessa comunità islamica che risiede nel Friuli occidentale.
No al terrorismo. Gli islamici dicono no al terrorismo, secondo l’imam Ahmed Erraji. E allora perché non scendono in piazza? Lo hanno fatto sabato i marocchini, ma per difendere la sovranità sul Sahara occidentale contro la decisione dell’Onu.
In piazza Risorgimento ce n’erano una cinquantina ed hanno colto l’occasione per dire che «condanniamo l’Isis senza appello». Dopodiché, nessuna manifestazione ad hoc contro gli attentati. Perché la maggior parte degli islamici proviene da Paesi in balia di dittature, che vietano iniziative pubbliche. Persino le “primavere” arabe stentarono a decollare.
Profughi? No, grazie. «Non possiamo accogliere richiedenti asilo, non ne abbiamo le possibilità», ha detto l’imam. In effetti è così: per “strutturare” le politiche di accoglienza – in presenza di numeri robusti – occorre anticipare tre mesi di spese. Fondi che gli islamici non hanno in quanto tutte le offerte vengono dirottate sul mutuo acceso per pagare, senza contributi pubblici, il centro islamico della Comina.
Centro islamico. La “moschea” è stata aperta a metà settembre 2009, pochi giorni dopo l’omicidio di Sanaa, la dicianovenne marocchina uccisa perché fidanzata con un italiano. Prima, i musulmani si riunivano in un garage di via Monte Pelmo, a Pordenone, chiuso con un’ordinanza dell’allora sindaco.
«Il prossimo anno riusciremo a chiudere il mutuo», assicurano tirando un sospiro di sollievo. Un rateo diluito nel tempo a causa della crisi: 1.200 metri quadrati coperti su due piani, 5 mila comprese le pertinenze, ceduti dall’imprenditore veneto Sergio Visotto. Sette i firmatari del contratto di acquisto, capofila l’allora imam Mohammed Ouatiq (cittadino italiano da alcuni anni emigrato in Francia), 650 mila euro in rate da 5 mila ogni 20 del mese, sino al 30 settembre 2012.
Poi i tempi si sono allungati: chi versava 20 euro li aveva ridotti a 5, chi da 5 a uno. È la crisi. I conti aggiornati a gennaio: restano da pagare 135 mila 665 euro, sino a fine luglio 2015 erano stati versati 406 mila euro.
«I soldi sono frutto delle donazioni dei fedeli, il centro ce lo paghiamo di tasca nostra», replicarono gli islamici alla deputata Pdl Souad Sbai, che aveva annunciato una interrogazione parlamentare sui costi dell’operazione e sulla provenienza dei soldi.
Gli islamici, chi sono? Gli stranieri, a Pordenone città, sono circa 7 mila. Circa 3 mila, secondo le stime del centro islamico, i musulmani in provincia. Frequentano la moschea della Comina – per la preghiera del venerdì in massa, per quella quotidiana la mattina e la sera, in minima parte – non più di 400 fedeli.
Sino alla pre-crisi economica erano il doppio. Del direttivo del centro islamico, negli ultimi anni almeno la metà dei componenti è emigrata tra Francia e Inghilterra. Tra i fedeli, molti se ne sono andati e questo ha pesato anche sul calo delle offerte pro moschea, sino a un paio di anni fa tra le più grandi del Triveneto. Altri gruppi di preghiera si incontrano a Spilimbergo, Maniago e Caneva.
L’imam. Figura di mediazione – o di riferimento, come lo fu Ouatiq – in un centro che ospita musulmani di un centinaio di Paesi (e di culture): l’80 per cento dei fedeli non parla l’arabo. Da un lato i magrebini sostengono Ahmed Erraji, il “resto del mondo” vorrebbe una guida propria.
Il resto del mondo è composto perlopiù da pachistani, bengalesi ed estremo oriente e, in misura minore, balcanici. A gennaio è stato messo in prova Rachid, da Medina, Arabia Saudita. Un mese dopo la marcia indietro.
La comunità non riesce a far fronte alla spesa, 1.500 euro al mese. Per la verità, si divide anche sull’applicazione rigida di alcune norme coraniche, sull’obbligo di radersi tutti i giorni, sui controlli dei dialoghi. La lingua ufficiale, in Comina, è l’italiano.
I “compromessi”. Il predicatore Hussein Bilal Bosnic, in carcere per terrorismo internazionale, predicò a maggio 2013 a Pordenone. Ajhan Veapi, di Tiezzo, ex consigliere del centro islamico di Pordenone, arrestato perché sospettato di essere reclutatore di combattenti da inviare alla causa dello stato dell’Isis.
Arslan Osmanoski, di Corva, espulso dal ministro dell’Interno a maggio 2015 in quanto «personaggio caratterizzato da uno stile di vita radicale improntato sui dettami del salafismo».
Musa Cerantonio si era fatto fotografare davanti alla basilica di San Pietro con la bandiera di Al Qaeda: era stato accolto come una star al centro islamico di Pordenone, per due volte nel 2012.
I dirigenti della moschea prendono le distanze dai due predicatori («non hanno predicato, persino la questura sapeva che venivano qui»), difendono a spada tratta i due fedeli. «Irruzioni esagerate nelle loro case – dissero a suo tempo –. Sono bravi ragazzi, nel nostro centro non ci sono fondamentalisti».
La Procura di Venezia pensa il contrario. La verità, probabilmente, all’esito di un processo.
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