Silvia rompe il silenzio «Conoscete il sindaco Ciriani, io vi racconto Alessandro»

«Quando mi chiamano first lady sorrido: non sono il sindaco, io mi dedico alla famiglia, ma mi informo». A due giorni dal matrimonio la futura sposa del sindaco Alessandro Ciriani si racconta e racconta il futuro marito. Emma e Andrea sono i loro figli, «nomi brevi, come piacciono a noi». Stride con Alessandro che, «infatti, lo chiamano Ale, Sandro, Cirio».
E lei? «Amo». Silvia Birri, 41 anni, originaria di Roraipiccolo – figlia dei compianti Ivo e Giuseppina, e sorella di Stefania – laureata in Economia e commercio, è nella casa di Fiume Veneto – immersa in 7 mila metri quadri di giardino tra ulivi, tigli, pini e alberi da frutto – e sta mettendo a punto gli ultimi dettagli del grande giorno.
Quando ha conosciuto Alessandro?
«A settembre 2004 ad una riunione in Provincia. Era assessore alle politiche sociali, io avevo coordinato un progetto per l’osservatorio sul lavoro. Fu molto professionale: una stretta di mano, avevamo vite diverse».
La seconda volta...
«Marzo 2006, conferenza sugli esiti dell’osservatorio. Al termine, me lo presentarono. Successivamente, quando aveva bisogno di dati, anziché andare dalla dirigente veniva da me».
E fu fidanzamento, il 30 settembre 2006.
«Fu lui a compiere il primo passo. Era tanto timido, ricordo che parlandomi guardava il porfido, in corso».
E lei aveva intuito?
«Stupida non sono...».
Cosa la colpì di lui?
«La discrezione: non è mai stato invadente. Era entrato nella mia vita in punta di piedi, ma caparbio».
Come la conquistò?
«L’aveva presa alla larga. Ci vedevamo per un caffè al Burchiello o al pomeriggio al Buso. Poi alcuni regalini, ricercati, con bigliettino».
Ne ricorda uno?
«Il primo vinile che aveva inciso: suonava la chitarra e cantava bene. I suoi regali sono dei buoni rimedi per vivere meglio. Alessandro sa scegliere anche dove le donne sono difficili come per borse, scarpe, vestiti e portafogli. Ha sempre azzardato e mi piace perché dimostra quello che vede in me».
La prima cena?
«Al ristorante Aqua di Prata. Cena galeotta, senza regalo».
Fiori...
«Tanti, ma dopo qualche screzio. È il “regalo riparatore”».
... e spine, litigi?
«Abbiamo caratteri molto forti. Non scarica nervosi e amarezze con la gente, ma con me. A volte c’è tensione e allora si discute, come in ogni famiglia, ma capisco che affronta periodi impegnativi».
Quindi la colpa è di...
«Sua! E a lui passa subito, a me no. Da morosetti dopo una lite me ne andavo a casa, ora pianto un po’ il muso e poi facciamo pace».
Quando decideste di sposarvi?
«Un anno dopo esserci messi insieme. La data era stata decisa: 6 settembre 2008. Poco prima arrivò Emma. Ale insisteva per sposarci subito, io dissi di aspettare. E abbiamo aspettato dieci anni, ma abbiamo tenuto».
Adesso pare essere la volta buona.
«I figli sono esauriti, abbiamo fatto la nostra parte. Le elezioni sono alle spalle, ci pare essere un periodo calmo. Speriamo».
Dopodomani.
«Ci tenevamo a sposarci in chiesa. In duomo, perché è simbolico per Pordenone, che è sempre stata la città di Alessandro: ci è cresciuto, la sente sua dai tempi del liceo al Vendramini».
Ora abitate a Fiume Veneto.
«L’appartamento di via Revedole era diventato troppo piccolo, sebbene fosse in una zona che ci piaceva molto. La scelta è caduta su una parte dell’abitazione dei suoi genitori».
Dove la domenica sera...
«Si riunisce tutta la famiglia Ciriani: genitori, figli e nipoti».
Torniamo al matrimonio. Celebrano?
«Monsignor Otello Quaia, un grande parroco, e don Giancarlo Peggio, che ha pure battezzato Emma e Andrea e sposato miei cognati. È molto vicino alla nostra famiglia».
Testimoni?
«Io la mia amica più cara, Federica Papavero, e mio cognato Fabio».
Il sindaco?
«Elena Ceolin che non ha bisogno di presentazioni e il compagno di Federica nonché amico d’infanzia di Alessandro, Andrea Fantin».
Chi ha organizzato?
«Abbiamo condiviso le idee, io le ho realizzate. Pranzo con i parenti, serata con gli amici più stretti. Non sarà il matrimonio del sindaco, ma di Alessandro e Silvia. L’ho donato alla città, lo vorrei solo per me e la nostra famiglia almeno per soli pochi giorni».
Gli abiti?
«Alessandro classico, io pure, bianco (che lui non ha visto). Mi ha chiesto i capelli sciolti e il vestito “semplice”: ho pensato che mi sposo una volta sola».
E farà quindi di testa sua. Viaggio di nozze?
«A Cortina per motivi logistici e per la bellezza dei posti. Pochi giorni, passeggiate e relax. Poi torneremo quello che siamo».
La notte delle comunali 2016?
«L’ho trascorsa al telefono, ho seguito sì lo spoglio. Quando la situazione era ormai definita, Ale mi telefonò per dirmelo. E al mattino mi svegliò con un “Amore, sono il sindaco di Pordenone”».
In famiglia parlate di politica?
«Sì, e da Alessandro ho imparato molto. A casa mia non si era così coinvolti».
Consigli?
«Ad Alessandro piace parlare di quello che fa, con entusiasmo. Ci crede, vuole bene a Pordenone. Se mi viene qualche bella idea gliela suggerisco».
Non si sente un po’ first lady in ombra?
«Sì, è una mia scelta. Non un passo indietro, tremila. Prima la famiglia: è Alessandro sindaco, non io. I bambini sono piccoli, quando saranno un po’ più grandi allora ci faremo vedere di più. A volte mi dicono: sembra un sindaco vedovo!».
Un difetto del sindaco?
«È un po’ impulsivo».
A tavola?
«Ama mangiar bene. Niente carciofi e miele. Sì, invece, alle polpette preparate dalla mamma, a me non riesce bene stare in cucina anche se ci metto tutta la mia buona volontà».
E quando lo attaccano?
«Ero iscritta a Facebook, che ora uso solo per i compleanni. Purtroppo alcune volte mi è capitato di leggere commenti offensivi, cattivi. Ci sono stata male, così ora non guardo più per non farmi il sangue amaro. Ognuno può avere le sue idee, tutto è criticabile, ma l’insulto no, non lo accetto».
Non è tentata di intervenire?
«Alessandro dà il massimo. C’è quasi una sorta di “moda” nel criticarlo, di dargli del fascista, ma questi stessi comportamenti impoveriscono chi li pratica. Ho vissuto l’esperienza della Provincia e fu più calma, c’era più rispetto. Ora, la campagna elettorale è stata brutta, c’è molta tensione. La gente tirerà le conclusioni da sola, davanti ai fatti e alla persona».
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