Si fingeva dentista a Reana condannato anche per lesioni
REANA DEL ROJALE. Indossava il camice e la mascherina, eseguiva devitalizzazioni, estrazioni, ricostruzioni e quant’altro ci si possa aspettare da uno studio dentistico e, naturalmente, incassava come da prezzario professionale. Però, del dentista non aveva niente, fuorchè le sembianze e gli strumenti di lavoro. Oltre che una pila di falsi diplomi di laurea in Medicina e chirurgia e di attestati di abilitazione vari. La fortunata attività del finto dottor Rossi, al secolo Marco Rossi, 51 anni, di Buia, aveva subìto una prima battuta d’arresto nell’ottobre del 2010, con il sequestro della struttura sanitaria “Sanomorena srl”, a Reana del Rojale, dove lavorava. E ieri, con la condanna a un anno e mezzo di reclusione che gli è stata inflitta dal tribunale di Udine per esercizio abusivo della professione, truffa, falso e lesioni all’apparato masticatorio ai danni di due pazienti, sulle sue prospettive di carriera è stata posta se non proprio la parola fine, senz’altro un’ipoteca altissima.
La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico Mauro Qualizza e somma tra loro la pena a un anno e due mesi comminata per i primi tre reati contestati e quella a ulteriori quattro mesi per le due accuse di lesioni. Il pm Elisa Calligaris aveva chiesto una condanna a complessivi due anni e tre mesi di reclusione.
Le indagini dei carabinieri del Nas erano partite su input del ministero, cui lo stesso Rossi si era più volte e invano rivolto, per ottenere il riconoscimento di una laurea che sosteneva di avere conseguito all’università statunitense di Boston. Gli accertamenti effettuati sul suo conto avevano così condotto i militari dell’Arma fino allo studio Sanomorena, finendo per inguaiare anche gli altri sedicenti medici che vi operavano: dall’amministratore e legale rappresentante della struttura, Gianni Fornasir, ai colleghi Isabella Di Varmo e Giovanni Tromby. Mentre loro tre avevano chiuso il procedimento giudiziario patteggiando le rispettive pene con il pm Barbara Loffredo, Rossi aveva scelto d’imboccare la strada dibattimentale.
Dei 17 pazienti che la Procura gli ha contestato di avere curato, due avevano deciso di denunciarlo anche per l’infiammazione e i dolori accusati dopo le estrazioni dentali, le otturazioni e le cure canalari che gli si imputava di «non avere eseguito a regola d’arte». Tra i tanti “allori” che Rossi vantava di avere accumulato in anni di studi e che la magistratura ha ritenuto invece valere quanto carta straccia, tre lauree in Medicina della Cattolica di Roma, tre diplomi di Odontoiatria dell’università di Chieti-Pescara e tre abilitazioni, oltre al tesserino dell’Ordine dei medici, naturalmente contraffatto.
Diversi i motivi con i quali il difensore, avvocato Filippo Mansutti, si presenterà in appello. A cominciare dal fatto che Rossi non fu mai colto in flagranza di reato. «Le accuse – osserva il legale – si reggono sulle dichiarazioni dei testimoni. E visto che attorno alla struttura gravitavano molte figure professionali, non vi è certezza che le prestazioni sia state rese da lui». Quanto ai titoli di studio, l’avvocato Mansutti ricorda come i carabinieri glieli trovarono a casa, in un armadio della camera da letto, e come quindi Rossi «non se ne sia mai servito nei rapporti con i pazienti». Respinta anche la truffa, essendo Rossi «un semplice collaboratore e visto che a trattare con i clienti era direttamente il titolare dell’azienda». Nell’impugnazione, la difesa valorizzerà inoltre l’assoluzione per falso ideologico in atto pubblico ottenuta in un precedente processo.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto