Si affida a un “lettino miracoloso” per guarire, ma scopre che era una truffa

Bagnaria Arsa, condannata a un anno e 4 mesi più il risarcimento una donna che si spacciava per medico e proponeva trattamenti

BAGNARIA ARSA. Si è fidata di chi riteneva un medico e ha accettato di acquistare uno speciale lettino, sperando di curare così una grave forma di endometriosi che l’affliggeva.

E seguendo i consigli di chi glielo aveva prescritto, la paziente – una 30enne residente nella Bassa friulana – ha pure sospeso la terapia farmacologica.

Ha scoperto che non solo il lettino non aveva proprietà curative, e men che meno miracolose, ma che dopo il trattamento, la sua malattia è peggiorata a tal punto da costringerla a sottoporsi a un intervento chirurgico invalidante cui ne è seguito un altro.

E come lei hanno creduto nelle capacità taumaturgiche del “lettino miracoloso” una ventina di pazienti affetti da tante malattie – comprese miopia, sla, cancro e leucemia – che hanno deposto al processo.

Il caso è stato discusso al tribunale di Udine e si è concluso con la condanna di Bruna Pitta, 71enne di Bagnaria Arsa, a 1 anno e 4 mesi di reclusione, pena sospesa a condizione che venga pagata entro un mese una provvisionale di 10 mila euro, oltre ai danni da liquidarsi a parte; assolto per non aver commesso il fatto Eugenio Sclauzero, 58enne di Bagnaria Arsa.

Bruna Pitta era imputata di esercizio abusivo della professione medica, pur non avendo conseguito alcuna laurea in medicina, nè abilitazione, e di aver ricevuto nella propria abitazione la paziente cui, secondo l’accusa, consigliò l’uso del lettino “I-Life Somm” come rimedio terapeutico e la sospensione della terapia farmacologica.

E assieme a Eugenio Sclauzero – che invece la laurea in medicina ce l’aveva – era accusata di aver consigliato l’acquisto dell’apparecchiatura, che costava oltre 9 mila euro, inducendo in errore la paziente sulle sue caratteristiche.

L’inchiesta della Procura di Udine ha portato davanti al giudice tre imputati. La posizione di Anna Gerardina Foglino, pure collaboratrice della Pitta, che nel frattempo ha chiesto la messa alla prova, intanto è stata stralciata.

Nella sua requisitoria, il pm onorario Marzia Gaspardis ha ritenuto provata la personale responsabilità di Pitta e Sclauzero e ne ha chiesto la condanna a 1 anno per la prima e a 6 mesi per il secondo.

L’avvocato di parte civile Parozzani ha parlato di «delirio di onnipotenza di questi imputati che, dopo aver lucrato e truffato, facevano sospendere le terapie farmacologiche, prescrivendo esami ad altri colleghi che vendevano altre pillole e trattamenti. Dannosi se non inutili».

Eppure per l’avvocato Giorgio Weil, difensore di Pitta che ha chiesto l’assoluzione della sua assistita e che ha preannunciato l’impugnazione della sentenza, «il lettino è stato suggerito in quanto utile, non in quanto terapeutico dalla mia assistita, che si qualificava come dottoressa poiché laureata, anche se non in medicina. È un processo – ha commentato – nato su un equivoco generato dalla sofferenza».

L’avvocato Giorgio Caruso, difensore di Sclauzero, ha chiesto l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” del suo assistito che «sconsigliando la sospensione del trattamento farmacologico ha presentato il lettino come un trattamento utile, ma non certo curativo».


 

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