Shoah in Baldasseria Quando si fermavano i treni dei deportati

GIACOMINA PELLIZZARI. La Shoah di via Baldasseria. Almeno 1.200 deportati ammassati sui treni provenienti dalla Risiera di San Sabba hanno sostato a Udine, nello scalo ferroviario tra le vie Buttrio, Pradamano, Monfalcone e Romans. Lo rivela la ricerca commissionata dal parroco di San Pio X, Paolo Scarpin, alla studiosa Tiziana Menotti, all’architetto Giorgio Ganis e al professor Elio Varutti. La ricerca sarà presentata giovedì sera, alle 20.30, nella sala parrocchiale di San Pio X.
«Nell’area dello scalo ferroviario tra le vie Buttrio, Pradamano e Monfalcone, chiamato suburbio di Baldasseria - spiegano i ricercatori -, stazionarono i treni merci provenienti dalla Risiera di San Sabba, dal carcere del Coroneo e dal comando delle Waffen Ss carichi di ebrei, per lo più askenaziti e di altri prigionieri nazisti concentrati a Udine, nelle prigioni di via Spalato».
Prima delle ricerche effettuate dal gruppo udinese, nessuno poteva immaginare che gli ebrei prigionieri, ammassati nei vagoni piombati, fossero passati vicino al centro abitato di Udine sud. Questo fatto trasforma anche via Monfalcone, via Romans e lo scalo di via Buttrio in luoghi della memoria. Ecco perché nella giornata dedicata a questa pagina di storia che si celebrerà venerdì, la parrocchia organizzerà un pellegrinaggio culturali proprio in quei luoghi. Allestirà anche una piccola mostra fotografica.
«Nei primi periodi - spiega Varutti - i treni merci carichi di prigionieri si fermavano in stazione a Udine, dove le donne andavano a portare a quei poveretti generi alimentari e vestiti puliti. Consegnavano anche pezzi di matite e foglietti sui quali i prigionieri potevano scrivere gli indirizzi di casa pregando chi li avrebbe trovati di far sapere ai loro familiari che erano vivi». Quel via vai di donne, però, provocò troppa ressa e le guardie decisero che era preferibile far sostare i treni altrove. Da qui la decisione di spostare la sosta nello scalo di via Buttrio, dove si fermavano anche i convogli provenienti dal campo di concentramento di Fossoli, vicino Parma. «Le donne - continua Varutti - aspettavano i treni merci carichi di deportati anche al passaggio a livello di via della Valle, dove ora c’è il sottopasso. Lì raccoglievano i bigliettini per poi consegnarli agli impiegati delle poste, che provvedevano a spedirli ai familiari dei prigionieri».
Erano donne coraggiose che meritano di essere ricordate. In stazione a Udine c’è una targa che recita: «Alle donne friulane che, senza armi, rifiutando la brutalità degli occupanti nazisti, diedero conforto e assistenza ai deportati e agli internati rinchiusi nei vagoni ferroviari e destinati ai campi di concentramento». La lapide ricorda anche il coraggio di Clelia Messina, la novantanovenne udinese che nei giorni scorsi ha rilasciato una lunga intervista al Messaggero Veneto. Clelia andava dai contadini di Cussignacco e Pradamano a chiedere generi alimentari per sfamare i deportati. È una delle ultime testimoni in grado di raccontare un pezzo di storia della città.
In aprile, non appena le condizioni meteorologiche lo consentiranno, la parrocchia di San Pio X ripercorrerà i tragitti seguiti dalle donne resistenti e le tappe degli ebrei. «Vogliamo costruire - aggiunge Varutti - una sorta di percorso storico che racconti quei fatti».
Fatti raccontati e analizzati dallo studioso triestino Mauro Tabor, il primo a parlare della Shoah udinese. «Dai suoi studi emerge che nei lager dalla Risiera di San Sabba a Trieste, fulcro del concentramento nell’Adriatisches Küstenland, sono state internate oltre 1200 persone. Nel 1938 erano circa 6 mila gli ebrei a Trieste, solo 1500 sono sopravvissuti». Sui treni merci finiva anche l’ebreo “misto”, ossia l’assimilato e il discendente da persone di altra fede, rintracciabile dal cognome.
«Secondo Pietro Ioly Zorattini, nel 1944 furono arrestati dalle Waffen SS quattro ebrei. Tra questi c’era il barone Elio Morpurgo (1858-1944), ultraottantenne e ammalato. Morì per strada», continua Varutti ricordando che «la deportazione diretta ai campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e altri lager, passava per Tarvisio». Secondo Tristano Matta, lo studioso citato nella ricerca, «alla Risiera di San Sabba furono imprigionati oltre 1450 ebrei, provenienti dal Friuli, dalla Venezia Giulia, dal Veneto e dalla Croazia. Settecento i deportati razziali triestini, di questi solo 20 tornarono dai campi della morte. Ventotto furono uccisi a San Sabba perché non erano in grado di affrontare il viaggio».
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