SEMPRE PRODIGO DI CONSIGLI EMINENZA GRIGIA DELLA CITTÀ
di GIUSEPPE RAGOGNA
Abele Casetta era una delle persone più ascoltate dagli amministratori pordenonesi, un signore d'altri tempi, che non amava apparire. Preferiva lavorare dietro le quinte per studiare e cercare le soluzioni ai problemi più ingarbugliati. Per lui le questioni più complicate diventavano semplici. Aveva un consiglio per tutti coloro che lo consultavano, senza la fregola di mettere il timbro sulla scelta finale. Si trincerava semplicemente dietro al suo motto, tutto pordenonese: «Gavarie trovà la strada, dopo vedi ti». E subito si premurava a indicare gli ostacoli da superare, per evitare di inciampare. In questo, era particolarmente scrupoloso di accompagnare ogni pratica verso il buon esito finale, soprattutto se aveva un valore importante per la sua città. E' stato una sorta di “eminenza grigia” di Pordenone, concreto e abile ispiratore di tante iniziative.
Casetta ha saputo arricchire le sue grandi doti umane, e la sensibilità all'approccio dei problemi più delicati, fin dai primi passi mossi nella sfera del “sociale”. Il primo compito affidatogli è stato quello di rifondare la casa per anziani “Umberto I”, una struttura dimenticata da ogni priorità, costosa e poco funzionale, in preda al declino. Per lui è diventata la “madre di tutte le battaglie”, per restituire la giusta dignità all'assistenza, tema elettoralmente poco appetibile. E ha vinto la sfida, nonostante gli scarsi finanziamenti, «ma con grandi risorse umane da valorizzare». Gli è toccato poi riorganizzare i servizi sociali e la fragile rete degli asili nido. Da dirigente navigato, era così pronto al grande salto nella sede municipale, dov'è rimasto per l'intera vita lavorativa, come vicesegretario, punto di riferimento di ogni attività amministrativa. Non se ne abbiano a male i vari segretari generali che si sono succeduti al Comune di Pordenone, ma l'ufficio di Abele Casetta era una sorta di “confessionale”, non di peccati, ma di problemi da risolvere. Spesso la sala d'aspetto era gremita fin dalle prime ore della giornata lavorativa. La frequentavano un po' tutti, dagli amministratori agli impiegati, in cerca di un consiglio. O anche per un semplice saluto.
Se non fosse un'espressione un po' troppo retorica, di questi tempi, si potrebbe tranquillamente parlare di Casetta, come di un “servitore delle istituzioni”. Ha accompagnato, con discrezione, tutti gli attraversamenti politici della città: dalla gestione democristiana del Comune, sotto la guida del sindaco Glauco Moro, sfociata nella crisi politica e nel voto anticipato, all'irrequieto periodo di pentapartito, gestito con diplomazia da Giancarlo Rossi; dalla bufera di Tangentopoli (all'epoca di Alvaro Cardin), all'arrivo della pattuglia leghista (con sindaco Alfredo Pasini), “fresca di politica”. E avanti, fino all'era di Sergio Bolzonello. E lui, Abele Casetta, sempre riferimento della macchina amministrativa, grazie alle sue doti di professionalità e di affidabilità. Da lui non è mai uscito un gossip. Non ha mai espresso un giudizio sugli “inquilini del Palazzo”, neanche con la garanzia di mantenere segreta la fonte. Eppure, era particolarmente consultato dai giornalisti per avere l'interpretazione corretta dei più complessi atti amministrativi.
In realtà, non si è mai atteggiato a burocrate. Anzi, non ci teneva, perché era un intellettuale poliedrico e raffinato, capace di interventi in varie discipline: tanti approfondimenti culturali, abbondanti ricerche storiche. E un po' di politica, soprattutto da fresco laureato. E' stato uno dei promotori (con Claudio Cudin, Carlo Sartor, Sergio Chiarotto, Adriano Bomben e Luigi Deganuto, il quale diventerà il suo amico più stretto) della fucina di progettualità che ruotava attorno alla corrente democristiana di Base. Tanta cultura, molte ore passate a discutere e a elaborare piattaforme programmatiche, assidua frequentazione della Casa dello studente, nella squadra fondata da don Luciano Padovese. E a questa istituzione, luogo di formazione del senso civico, Casetta ha dedicato gli ultimi anni per aiutare la crescita dell'Università della terza età.
Un’altra sua capacità era la lettura della realtà pordenonese. Ne coglieva pregi e difetti. Il suo impegno era rivolto a costruire opportunità di crescita, che dovevano necessariamente passare attraverso la formazione di qualità (vedi il sostegno al Consorzio universitario). Ciò che lo tormentava, in tempo di crisi, era lo squilibrio nel trasferimento dei finanziamenti su scala regionale, sempre ai danni di Pordenone. Così ha aggiornato fino all’ultimo il suo dossier, che ha voluto intitolare “Trieste è lontana”. Era il sasso nello stagno dell’immobilismo politico, che puntava a far comprendere le occasioni mancate, causate da disuguaglianze inaccettabili. Senza polemiche. Eppure, la sua ricerca certosina, basata su dati oggettivi, gli è costata l’accusa di strumentalizzazione politica, che è stata l’ultima amarezza. Invece, voleva lasciare un’altra testimonianza per la città. Un segno indelebile.
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