Schiamazzi al Bar Lume si torna davanti al Riesame

I giudici hanno annullato l’ordinanza di dissequestro del locale di vicolo Pulesi Chieste nuove verifiche per stabilire se il gestore vigilò sul rispetto della quiete
Udine 23 agosto 2019 nella foto il barlume chiuso © Petrussi
Udine 23 agosto 2019 nella foto il barlume chiuso © Petrussi

Luana de Francisco

Il gestore di un esercizio pubblico che «non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne» risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone. Questo la Corte di Cassazione lo aveva affermato già in diverse pronunce. E adesso, rimbalzato a Roma il caso del “Bar Lume” di vicolo Pulesi, che la Procura di Udine aveva fatto chiudere il 20 agosto scorso proprio a seguito delle lamentele di alcuni residenti della zona, si tratta di capire se l’addebito debba valere anche per il suo titolare Matteo Comelli. Certo è che l’indagine che il successivo 9 settembre portò il tribunale del riesame di Udine a escludere in capo all’indagato la responsabilità penale omissiva per il vociare dei clienti e ad annullare quindi il decreto di sequestro del gip, secondo la Suprema Corte «non fu del tutto esaustiva». Serve «un’adeguata verifica in sede di merito», hanno scritto gli ermellini nella sentenza con cui, accogliendo il ricorso del pm Elena Torresin, hanno quindi annullato il provvedimento di dissequestro e rinviato gli atti al collegio udinese per una nuova valutazione.

Si riparte dal Riesame, insomma, per capire innanzitutto se gli schiamazzi - oggetto di un esposto del 21 gennaio 2019 a firma dell’amministratore di un condominio di vicolo Pulesi - fossero dovuti «al mancato esercizio del potere di controllo» del gestore. E poco conta, per la Cassazione, se il tribunale gli dà atto di essersi attivato per tacitare i clienti. «Non è chiaro se questo avveniva per l’arrivo delle forze dell’ordine – si legge nelle motivazioni della sentenza – o fosse un comportamento abituale, evidentemente inefficace». Pur condividendo le considerazioni del collegio udinese circa il «difficile rapporto tra diritto al riposo dei residenti, da un lato, e diritto allo svago degli avventori e tutela della libertà d’impresa, dall’altro», gli ermellini ricordano anche come «se è vero che il locale era autorizzato a restare aperto fino alle 3 di notte e a occupare un massimo di 46 coperti all’esterno, lo è anche che questo non può legittimare una compromissione delle esigenze di tutela della tranquillità pubblica, né esime il gestore dall’osservare i doveri di controllo sul rispetto della quiete altrui, a prescindere dall’eventuale inerzia della Pubblica amministrazione chiamata per prima a ponderare gli interessi in gioco nella gestione degli spazi pubblici e a dirimere eventuali contrasti». Non meno pregnante l’indicazione per cui «a disturbare, più che la voce del singolo cliente, è la rumorosità diffusa provocata dal loro insieme» e che, quindi, «la condotta impeditiva» debba essere esercitata proprio da chi gestisce il locale in cui sono raccolti.

Nel soffermarsi sulle verifiche fonometriche dell’Arpa, la Cassazione ha insistito sul fatto come, «pur se concentrate in un solo giorno, hanno comunque constatato che il valore differenziale era superiore, per quanto non in modo eccessivo, ai limiti di legge, a finestre sia chiuse che aperte», e ricordato come «anche la reiterazione in giorni diversi degli schiamazzi, a prescindere dall’intensità, sia idonea ad arrecare disturbo».

Esaminata la decisione romana, l’avvocato Giovanni Stellato, che assiste il gestore, si è detto pronto ad affrontare una nuova discussione di fronte ad altro collegio, anche alla luce dei «molti elementi ancora da approfondire. Il locale – ha aggiunto – ha dato prova di una condotta rigorosamente improntata al rispetto delle normative vigenti in materia, adottando i dovuti accorgimenti e preparandosi anche in vista della prossima riapertura, in ossequio alle disposizioni anti Covid di recente emanazione». —

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